Gli "sguardi" di Guido Guidi a Parigi

Rimini

CESENA. Scatti in bianco e nero e a colori dal 1968 a oggi. Per la prima volta in Francia una prospettiva che ripercorre i quarant’anni di carriera di Guido Guido, il fotografo cesenate pioniere nel rinnovamento della fotografia del territorio .

Da domani al 27 aprile la Fondazione Henri Cartier-Bresson di Parigi presenta Veramente, una grande mostra di una delle figure più importanti della fotografia contemporanea, organizzata con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, in collaborazione con Télérama. L’esposizione è accompagnata da un catalogo edito da Mack con un’introduzione di Agnès Sire, curatrice della mostra, e un saggio di Marta Daho, storica della fotografia.

Frutto di una coproduzione, dopo la capitale francese la mostra sarà anche al museo Huis Marseille di Amsterdam (dal 14 giugno al 7 settembre 2014) e al Mar – Museo d’arte della città di Ravenna nell’autunno 2014, grazie alla collaborazione con Silvia Loddo e l’Osservatorio Fotografico di Ravenna.

Nei due piani di mostra parigina, i francesi, e non solo, potranno ammirare gli esperimenti degli anni Settanta in bianco e nero, accanto alle serie a colori come In between cities, A new map of Italy o Preganziol.

«Le fotografie esposte sono quelle scattate dal ’68 a ieri, scelte dalla curatrice dell’associazione Cartier-Bresson – precisa Guidi, raggiunto telefonicamente durante il suo viaggio verso la Francia –. In particolare, ci sono il bianco e nero della prima fase, fino agli anni Ottanta, e il successivo colore».

La retrospettiva francese sintetizza, se così si può dire, più di 40 anni del suo lavoro: come si è trasformata per lei in questi anni la fotografia, e quanto è importante il punto di vista dietro un obbiettivo?

«È una cosa difficile da dire, quasi impossibile. Certo, qualsiasi fotografo ha il suo punto di vista e da questo non si può prescindere, c’è poco da fare, come diceva Leon Battista Alberti: mettere in prospettiva e partire da un punto di vista. La fotografia è fatta con la macchina, ma dietro c’è qualcuno che guarda».

Lei vede la fotografia come un prolungamento dello sguardo, oggi però ci sono tecniche che aiutano non poco ai fini del risultato: contano, o sono ancora le capacità a fare la differenza?

«La tecnica fa parte del gioco in qualsiasi lavoro, sia che si faccia il pittore, come lo scrittore o il musicista. Non si può lavorare a prescindere dalla tecnica, ma è chiaro che la fotografia non è solo quella, come non è solo tecnica per un pittore mescolare i colori: non c’è nessuna differenza».

 

Ma si può imparare a fotografare?

«Certo che non si nasce imparati».

Non trova che negli ultimi anni anche in Italia sia aumentato l’interesse verso le mostre fotografiche?

«C’è solo più confusione».

Negli altri Paesi europei, invece, non è così?
«All’estero è già diminuita da un pezzo questa confusione, in Italia invece, aumenta».

Guido Guidi in breve. Nato nel 1941 a Cesena, Guido Guidi sogna di diventare un architetto o un pittore, studia architettura allo Iuav (Istituto universitario di architettura di Venezia) e frequenta il corso superiore di disegno industriale sempre a Venezia. Tra i suoi professori, architetti di fama quali Carlo Scarpa e Luigi Veronesi, che avranno una grande influenza sul suo lavoro. Durante questo corso si interessa di fotografia e vi si dedica completamente dalla metà degli anni Sessanta. Durante i primi anni della sua carriera s’interessa alla fotografia in bianco e nero e realizza alcune serie nel movimento dell’arte concettuale del tempo. Dal 1970 lavora come fotografo per il Dipartimento di Urbanistica dell’Università di Venezia e si concentra sul paesaggio contemporaneo e le sue trasformazioni. Abbandona il bianco e nero per dedicarsi all’utilizzo delle pellicole a colori e sviluppo in grandi formati.

Vuole documentare l’Italia, registrare la vita italiana, non negli spazi culturali ma concentrandosi sulle aree periferiche, ai margini. Per Guidi «lavorare ai confini comprende lavorare in situazioni private, osservare le situazioni non codificate, incerte, aperte, poco comprese o non comprese. Insistere sul margine, anche la fotografia ha un margine, questo significa indossare uno sguardo più ampio delle cose senza pregiudizi».

Dalla fine degli anni Ottanta insegna Fotografia all’Accademia di belle arti di Ravenna e alla Facoltà di Architettura di Venezia.

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