Zamagni: «Euro troppo tedesco, bisogna cambiarlo»

SAN MARINO. Proprio mentre nella piccola Repubblica è in atto l’ennesimo terremoto politico-finanziario, al teatro Titano è in corso fino al 18 ottobre la IX edizione del “FestivalStoria”, dal titolo assai emblematico del momento economico che l’Europa sta vivendo: “Il denaro, motore della storia?”.

Ne parliamo con uno degli ospiti, il professor Stefano Zamagni, insigne economista riminese, docente all’Università di Bologna.

Professor Zamagni, lei terrà due interventi al “FestivalStoria”. Il primo, questo pomeriggio alle 17.15, è intitolato “L’Europa è una politica o una moneta?”. Un tema quanto mai attuale, viste le posizioni molto critiche emerse anche recentemente da parte di forze politiche italiane quali il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord che vogliono addirittura tornare alla Lira…

«Se vogliamo scherzare... I primi a non crederci sono i Cinque stelle. La tesi che difendo da tempo e che difenderò anche a San Marino è che 20 anni fa circa, quando è iniziato il processo della moneta unica, si poteva e si doveva fare diversamente. Sono stati fatti errori di natura tecnica e di natura culturale e politica. Oggi, dopo 13 anni di Euro, pensare di tornare indietro avrebbe un effetto disastroso, provocherebbe la morte di tanti innocenti. Chi lo propone ragiona in termini di statica comparata: paragona la situazione attuale con quella che si sarebbe potuta realizzare imboccando una via diversa. Ma è irresponsabile dire che tornando indietro si possano determinare dei vantaggi. Invece aumenterebbero le tasse a carico dei ceti meno abbienti e ripartirebbe la speculazione. I mercati non resterebbero silenti e neutrali. Una via nazionale allo sviluppo non esiste, non tiene conto degli avvoltoi internazionali. L’unica strategia possibile è modificare passo dopo passo l’assetto istituzionale che si è creato con i trattati di Maastricht e Lisbona. Occorre che i politici abbiamo il coraggio di cambiare e non siano più al servizio dei mercati come adesso. In termini tecnici, bisogna dire che era stato tutto previsto dal piano di Jacques Delors, ma la sua proposta non venne seguita»..

La via scelta dall’Europa, cioè quella di arrivare a una unione politica attraverso l’introduzione della moneta unica, è sembrata ad alcuni una scorciatoia sbagliata e ha fatto parlare di Europa delle banche e dei banchieri più che Europa dei popoli. Lei che ne pensa?

«Fu un errore perché anche gli studenti di economia sanno che è vero il contrario: la moneta unica è un punto d’arrivo e non di partenza...».

Il suo secondo intervento, che terrà domani alle 11.30, si intitola “L’avarizia e la parsimonia, tra economia e filosofia”. Ecco, per intenderci: quella della Merkel è avarizia o parsimonia?

«Il ruolo della Germania è stato determinante attraverso l’ordoliberalismo che ha partorito l’economia sociale di mercato. E il trattato di Maastricht adotta proprio l’economia sociale. Ma i nostri politici non lo sapevano, sempre che fossero in buona fede: l’ordoliberalismo è una teoria nata tra le due guerre all’università di Friburgo. La Germania l’ha imposta giocando sull’ignoranza altrui. Ha fatto credere che fosse accettata da tutti. E ha usato l’Euro per rafforzarsi, accumulando riserve aldilà delle regole. Ma è stata una tattica di corto respiro. Oggi non possiamo continuare così perché il declino è già iniziato. Più bravi sono stati gli americani: hanno visto che il neo liberismo li avrebbe portati alla distruzione e hanno adottato una linea neo-keynesiana. Ma loro sono pragmatici, non hanno un approccio ideologico, seguono una linea solo se funziona, altrimenti cambiano. Da oltre un anno hanno riadottato la regola che già all’indomani della crisi del 1929 aveva imposto alle banche di tenere separati i fondi commerciali dai fondi speculativi. Non possono utilizzare i risparmi per fare speculazioni. Questa legge venne abrogata da Clinton nel ’99 e sette anni dopo scoppiò la crisi mondiale. Dagli anni Quaranta in poi invece c’era stata stabilità… Noi in Europa non riusciamo. La Bce non riesce a far niente, deve solo garantire stabilità dei prezzi. Mentre la Fed americana ha tagliato la disoccupazione con politiche di natura fiscale che hanno avuto l’effetto di rilanciare gli investimenti».

Le misure del Governo Renzi per rilanciare l’occupazione, note come jobs act, la convincono o no?

«Come quella di Hollande, fa parte di una reazione alla testardaggine della linea di politica economica tedesca che impone l’austerità. Francia e Italia vogliono scardinarla. Da un punto di vista formale-giuridico i tedeschi ribattono che noi abbiamo firmato i trattati senza obiettare. Ma allora avevamo dei governanti incapaci... Ripeto, l’unica soluzione seria è riscrivere le regole a livello europeo. E sono moderatamente ottimista, ci stiamo arrivando per una ragione semplice: anche i migliori economisti tedeschi contestano la Merkel. Cominciano a capire che è una politica suicida nel lungo termine. E poi la Francia e l’Italia non sono la Grecia o l’Irlanda, hanno forza per aprire un dibattito serio. Ma uscire dall’Euro no, troppo comodo: invece prima bisogna riconoscere l’errore, capire e poi ridisegnare».

In definitiva, come si chiede il titolo del “FestivalStoria”: il denaro è il motore della storia?

«La parola denaro viene utilizzata impropriamente come sinonimo di moneta. E quindi avidità, avarizia, cupidigia. Ma il denaro non è affatto il motore della storia. La fame dell’oro ha sempre prodotto disastri, oppure dopo un po’ si inceppa. Tanto guadagno nel breve termine e forti perdite nel lungo. Il vero motore è il lavoro umano, come diceva Adam Smith: è dal lavoro degli uomini che derivano tutte le ricchezze di tutti i tempi».

www.festivalstoria.it

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