Baldini: «Imparate a non subire»

Rimini

LUGO. Sarà Eraldo Baldini il protagonista del prossimo appuntamento con il “Caffè letterario” di Lugo, lunedì alle ore 21 nella sala conferenze dell’hotel Ala d’Oro. Lo scrittore romagnolo presenterà il suo nuovo libro, “Nevicava sangue”, uscito di recente per Einaudi.

Un romanzo che, spiega l’autore, «racconta la presa di coscienza di sé e della propria condizione di subalternità, attraverso la durissima esperienza della guerra, da parte di un uomo che è nato e cresciuto quasi da servo e che si ritrova coinvolto nella campagna napoleonica di Russia del 1812 a causa di un atto di prevaricazione del padrone. Riesce però a fare tesoro del dolore, imparando a non tollerare più gli abusi».

Da dove nasce questa idea?

Dal fatto che per noi italiani le guerre napoleoniche sembrano spesso qualcosa che ha riguardato “altri”, dimenticando che il nostro Paese, col nome di Regno d’Italia, apparteneva all’impero francese, così che i nostri progenitori parteciparono in massa ai conflitti avviati da Napoleone. La campagna di Russia vide 70.000 nostri connazionali trascinati laggiù. Pochi scamparono, a causa delle terribili condizioni che i soldati dovettero affrontare: freddo, fame, malattie e disagi di ogni genere. Ho scritto questo romanzo anche per dare voce ai nostri progenitori dimenticati».

“Nevicava sangue” sembra parlare pure dei nostri tempi. C’è un messaggio che ci riguarda nella vicenda di Francesco, il protagonista?

«Il libro racconta la storia di un uomo umile che comprende di essere stato sfruttato e ingannato, e decide così di reagire ai soprusi. È dunque, in qualche modo, la metafora della ricerca e del bisogno della libertà, una conquista spesso difficile, dolorosa ma necessaria.

Perché ha scelto la forma del romanzo storico?

La storia spesso si ripete, anche se in forme diverse, ed è un bagaglio di esperienza collettiva che merita di essere conosciuto, perché può costituire un’importante fonte di riflessione. Dimenticare la propria storia fa perdere non solo la conoscenza del passato, ma anche quella del presente, disarmandoci di fronte al futuro».

La guerra, dunque, come supremo orrore?

«Esatto. Un orrore vecchio come l’uomo che lascia in chi lo incontra segni indelebili, ma a volte anche esperienze in grado di insegnare qualcosa e di mettere in moto cambiamenti importanti».

Che cosa la affascina maggiormente della vecchia società rurale a cui appartiene Francesco?

«La sua cultura millenaria, semplice ma profonda al tempo stesso. Non si possono certo rimpiangere i disagi, le fatiche, le subalternità, ma forse abbiamo perduto, rispetto ad allora, certi valori di solidarietà e persino di “spiritualità”, per quanto elementare».

Il paesaggio che descrive pare infatti pregno di presenze ancestrali e inquietanti. C’è poi il cavallo Berto, che della natura sembra rappresentare il volto più “rassicurante”.

«Cerco sempre di dare spazio e peso all’ambiente, intendendo sia quello naturale, sia quello culturale. Il protagonista di “Nevicava sangue” è immerso nel clima mentale in cui è nato e cresciuto, fatto anche di immaginario collettivo, di superstizione, di un approccio al mondo in cui natura e sopranatura a volte si confondono. Inoltre, per lui è normale e quotidiana la familiarità con gli animali, e il cavallo Berto che l’accompagna nel conflitto diventa il suo punto di riferimento più saldo».

Alessandro De Michele

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