Gli amori comunisti al tempo della Guerra fredda

Rimini

RIMINI. Il bel saggio “Gli irregolari. Amori comunisti al tempo della Guerra fredda” della riminese Anna Tonelli, professoressa di Storia contemporanea all’università di Urbino, appena uscito da Laterza, muove da una riflessione di Antonio Gramsci, che nei “Quaderni dal carcere” sottolineava come «i sentimenti popolari» vadano ritenuti uno scambio imprescindibile «tra governanti e governati, tra diretti e dirigenti», per realizzare «la vita d’insieme che sola è la forza sociale».

Così Anna Tonelli, «seguendo quel filone di storia culturale che riflette sull’uso politico dei sentimenti e delle emozioni», tra le righe delle storie d’amore “irregolari” dei militanti comunisti racconta di un Pci che, attraverso l’esperienza sentimentale, supera l’impostazione di tipo ideologico, ma anche la biografia di un’Italia che, all’indomani della Liberazione, riprende la vita democratica.

Nel 1949 L’Europeo utilizza la definizione “irregolari dell’amore” comunisti, scrive la studiosa nell’introduzione, «puntando i riflettori sulle numerose coppie di dirigenti che rompono i vecchi legami e intraprendono nuove relazioni con altre donne».

Un fenomeno che s’era diffuso all’indomani della Liberazione, quando l’impegno nella lotta antifascista, che aveva cementato le coppie militanti, si affievolisce «di fronte a un mondo nuovo in cui i desideri prendono il posto delle privazioni». Da qui, l’aumento delle unioni “irregolari”, che costituiscono un problema per il partito, prima ancora di essere oggetto della stampa a propaganda anticomunista.

«Tracciarne lo sviluppo – continua la Tonelli – significa entrare nelle pieghe della cultura comunista, evidenziando non solo i caratteri di un’ortodossia morale ben definita, ma anche le contraddizioni di un’etica di partito» che promuove valori e codici inflessibili ma consente situazioni reali opposte, pesando in modo differente nomenklatura e base e con evidenti discriminazioni di genere. Cui sfuggono figure come Rita Montagnana, che si oppose alla separazione da Togliatti, o Teresa Noce, “la Cenerentola dal fazzoletto rosso”, che si ribellò a una forma di divorzio voluta da Luigi Longo. Non senza conseguenze, come l’emarginazione politica.

Nel seguire i percorsi degli irregolari «emergono le storie che riguardano anche altri dirigenti, quali D’Onofrio, Grieco, Gerratana, Pietro Amendola, ma pure i cosiddetti “casi minori”, non meno interessanti, che svelano il tentativo del partito di destreggiarsi fra una pedagogia politica (...) e una prassi censoria», con l’obiettivo di condizionare il comportamento degli attivisti, facendo coincidere la sfera personale con quella politica. E colpendo col marchio infamante di «indegnità politica e morale» chiunque uscisse dalla retta via, come mostra l’allontanamento di Pier Paolo Pasolini. Un disegno che si giustifica e prende corpo soprattutto «nel clima della Guerra fredda, contraddistinto da una parte dall’impegno a caratterizzare il Pci come espressione di una cultura politica solida e identificabile, dall’altra dalla difesa dagli attacchi degli avversari moderati», che brandivano gli stereotipi sui comunisti «inaffidabili moralmente e distruttori della famiglia».

Dopo “Falce e tortello. Storia politica e sociale delle Feste dell’Unità (1945-2011)” (Laterza, 2012), questo viaggio nel “costume” comunista ai tempi del “partito nuovo” di Togliatti è un altro tassello dell’ottimo lavoro di Anna Tonelli, che all’apertura metodologica e al rigore della ricerca storico-archivistica sa unire ogni volta il piacere della lettura.

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