Muti fa parlare Verdi per tutti noi

Rimini

REDIPUGLIA. Il sole è ancora alto quando il Coro dei Cori degli Alpini sale sul palcoscenico. Le tre croci vigilano dall’alto della poderosa scalinata incorniciata dai cipressi, scandita da quel “presente” ripetuto all’infinito, come in un’eco che attraversa il tempo, e dalle migliaia di nomi scolpiti sulla pietra, tra i quali ognuno di noi può scoprire il proprio stesso nome: soldato, sergente, caporale, caporal maggiore, e ancora soldato, soldato, soldato... Come quelli in uniforme “d’epoca” che in una sorta di immobile “picchetto d’onore” accolgono il pubblico – sono circa 8000, arrivati al Sacrario per assistere al concerto che segna l’approdo delle Vie dell’amicizia di Ravenna festival e al tempo stesso dà inizio alle celebrazioni ufficiali del centenario dello scoppio della Prima guerra mondiale.

Il velluto evocativo delle voci degli alpini lascia presto il posto agli ottoni e ai piatti scintillanti della fanfara, sempre alpini, della brigata Cadore. E in questo luogo intriso di laica sacralità, in questa regione di confine, dove ancora le tracce di quella guerra segnano il terreno, quei suoni trascinano il pensiero a immaginare l’inimmaginabile: la cruda e assurda realtà di quelle centinaia di migliaia, di quei milioni giovani uomini chiamati a morire, per la folle e insipiente ambizione di pochi.

È per sottolineare la necessità di non dimenticare, per far sì che la memoria divenga motore di un vero percorso di pace e di integrazione europea – così come ha scritto in una lunga lettera qualche giorno fa Giorgio Napolitano – che nell’immensa platea il posto d’onore era riservato ai presidenti: come tutti hanno potuto vedere, grazie alla diretta televisiva su Rai Tre (ma la stessa serata andrà nuovamente in onda il prossimo 1 agosto, su Rai Uno), insieme allo stesso Napolitano sedevano il presidente della Croazia, quello della Slovenia, ed il presidente del Consiglio federale austriaco.

Da quelle stesse nazioni – e da molte altre che a quella guerra presero parte – arrivano gli oltre 350 musicisti (tra strumentisti e coristi) chiamati ad unirsi sotto la direzione di Riccardo Muti: nessuno meglio di lui avrebbe potuto interpretare il “Requiem” di Giuseppe Verdi, per la devozione e l’assoluto rigore con cui da sempre scandaglia il dettato verdiano, ma anche per il significato “universale” che non si stanca di rivendicare con convinzione profonda alla musica e a questa pagina in particolare.

Lo si capisce subito, dal sussurro discendente dei violoncelli che apre la partitura, dal dolce raccoglimento che vibra nei violini, poi dagli attacchi secchi e fulminei del Dies Irae, cupo affresco dello sgomento umano rotto dalle trombe del giudizio, e nel languore doloroso del “Lacrimosa dies illa”… Gli inconfondibili accenti verdiani si tingono di un arcaico senso di pietà, mentre in una sorta di bassorilievo sonoro, ogni timbro, ogni linea appare scolpita con inesorabile ed essenziale precisione. Così come pienamente “dentro” al messaggio verdiano appaiono gli impeccabili solisti: Tatiana Serjan Daniela Barcellona, Saimur Pirgu e Riccardo Zanellato. “A te, o Signore, offerte e preghiere offriamo con lodi. Ricevile in favore di quelle anime, delle quali oggi facciamo memoria…”. Ancora una volta, Verdi parla per tutti noi.

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