«Il mio Parsifal apre a una nuova società»

Rimini

BOLOGNA. Romeo Castellucci della Socìetas Raffaello Sanzio di Cesena è il regista di Parsifal di Wagner, opera che inaugura la stagione del teatro Comunale di Bologna martedì 14 gennaio ore 19 (con repliche il 16, 21 e 23 alle 19; il 18 e il 25 gennaio ore 15.30).

Oggi alle 18 ci sarà la presentazione dell’opera da parte dello stesso di Castellucci nel foyer del teatro. Tre atti con la direzione orchestrale di Roberto Abbado e l’interpretazione di Andrew Richards, Anna Larsson, Lucio Gallo, Gábor Bretz, Detlef Roth, Arutjun Kotchinian. Non è una commissione casuale; si tratta di un’apertura stagionale celebrativa del centenario del debutto; dopo aver visto la luce a Bayreuth nel 1882, Parsifal vide la prima italiana proprio nel Comunale di Bologna il 1 gennaio 1914.

La scelta di Castellucci, Leone d’oro alla carriera 2013 della Biennale, si inserisce in quell’apertura del Comunale a progetti più innovativi, come il Macbeth di Bob Wilson che aprì la stagione nel 2013.

Romeo affronta l’opera con il suo personale sguardo, profondo e rispettoso, ma lontano da forme didascaliche e descrittive obsolete, immaginifico e in divenire. Il “sacro” dell’opera non emerge da una simbologia oggettistica, quanto dal senso che impregna la lettura. L’allestimento bolognese è la ripresa della regia di Parsifal che Romeo Castellucci realizzò a Bruxelles nel 2011, al Théâtre Royal de la Monnaie.

Oltre alla regia operistica, Bologna affida al cesenate il progetto “E la volpe disse al corvo, il teatro di Romeo Castellucci nella città di Bologna”. Tale “Corso di linguistica generale” – come recita il sottotitolo – si sviluppa in vari luoghi e spazi della città fino a maggio. Castellucci presenta alcuni lavori passati dalla sua Cesena; fra questi il recente Giudizio possibilità essere, ma anche Persona sulla maschera, Attore il tuo nome non è esatto e pure i monologhi del famoso Giulio Cesare del 1997.

In una breve pausa dalle prove Romeo racconta questo nuovo Parsifal.

 

Appare una scelta forte, per la stagione d’opera del Comunale bolognese, affidarsi alla sua regia.

«Ce lo sapremo dire – sorride il regista –. Certo che dopo Bob Wilson qualche anticorpo il pubblico l’avrà acquisito. A Bologna riprendo lo spettacolo, scenografia compresa, che realizzai per il teatro d’opera de la Monnaie nel 2011».

Perché Wagner?

«Wagner è autore che ho studiato a fondo sin dagli anni in Accademia. Con lui nasce il teatro moderno, una forma di spettacolo che va a colpire tutti i sensi dello spettatore; scenografia, luce, musica, testo, in lui convivono Per questo è stato un incontro per me inevitabile. Non si studia solo nei conservatori».

Qual è il suo pensiero su Parsifal?

«La trovo un’opera complessa, di un Wagner anziano che racchiude una summa della sua musica, complicata nel senso. Anche ideologica se pensiamo che era l’opera preferita di Hitler. A me preme sgomberarla di ogni stereotipo dopo aver compiuto un lavoro approfondito sul filo logico. Non è “anarcoide”, il mio è un lavoro che va verso l’opera, provando a conquistare un’interpretazione propria coerente alla sua geometria drammatica».

Chi è Parsifal oggi?

«Me lo sono domandato nella ricerca di capirne il significato profondo, al di là di una visione storiografica illustrativa. Parsifal oggi richiede una presa di posizione, impone un pensiero anche per il pubblico, lo spettatore dovrà portarselo a casa. Non può essere falsamente neutrale».

E chi è per lei?

«Non è un salvatore ma un uomo come gli altri; è solo, rimane sempre solo come se faticasse a essere accolto. Mostra una via, un interruttore. Arriva in una comunità di cavalieri stanca, il re morente, il figlio malato, è una comunità paralizzata. Parsifal arriva da outsider, è uomo semplice, ignorante, è un puro folle che neppure sa il suo nome e scopre che il loro culto è vuoto».

Che fa dunque?

«Chiude – e qui subentra la mia lettura – questa comunità esoterica e immagina la società. Apre il cerchio di ferro con la sua purezza di outsider, vede ciò che è oscuro agli altri, scopre quel nucleo esoterico trasformandolo nella società moderna. Non è una guida spirituale, ma impara a essere un uomo con gli altri uomini».

E il sacro Graal?

«Non ci sono simboli religiosi, né sacri; nessuna lancia, né colomba, né croce, né coppa del Graal; del resto i simboli cristiani di Wagner erano un sistema pagano. Tutto è qui è trasfigurato in una meditazione, attraverso simboli disincarnati. Parsifal apre a una nuova società, fa uscire tutti dalla foresta incantata per camminare insieme. Nel terzo atto saranno centinaia le persone sul palco».

Com’è fare la regia creativa di un’opera dove gli elementi portanti sono imprescindibili?

«Molto dipende dal rapporto che si instaura coi cantanti, con i musicisti, con l’equipe di lavoro. Qui sono stato fortunato, ho potuto dirigere cantanti attori bravi e pazienti; con il maestro Roberto Abbado (nipote di Claudio) c’è una visione condivisa, come pure con il direttore artistico Nicola Sani».

Proseguirà con l’opera nel 2014?

«Sì, mi attendono vari progetti di teatro musicale fra cui Orfeo ed Euridice di Gluck, Neither di Morton Feldman, e la coreografia La sagra della primavera di Stravinsky».

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