Rimini nel cuore dell'impero

Rimini

I riminesi sanno bene di essere strategicamente al centro del Belpaese, o almeno di occupare ben più di uno strapuntino con vista sull’Adriatico. Lo conferma la storia e lo attestano anche i poeti, per quanto negletti. Lucano, nipote di Seneca, attribuì agli avi dell’Ostenda d’Italia parole che sono davvero evergreen, buone per ogni stagione: dalle lotte contro i Galli nel III secolo a. C. fino ai turbolenti convegni di partito da prima repubblica di qualche lustro fa. «Tutte le volte che la sorte provoca Roma, è per di qua che passano le guerre» (Farsaglia, I, 256-257).

Parole che certo non sarebbero dispiaciute a Ottaviano, Augusto dal 27 a.C., politico dotato di fiuto e opportunismo politico quasi ineguagliabili. Questi, riportata la pace dopo lo scontro con Antonio e Cleopatra, appronta un grande piano per garantire l’ordine sia in Italia sia negli immensi territori sotto il controllo di Roma.

In questo programma gioca un ruolo importante anche Ariminum, chiamata colonia Augusta Ariminensis, inserita nella regio VIII. Una deduzione coloniaria che non è solo un atto attinente alla demografia e all’economia del luogo, ma ha forti ripercussioni politiche. Comporta anche un ripensamento delle strutture civiche con l’inserimento di nuovi elementi attivi nel locale senato, e che devono essere totalmente schierati dalla parte dell’imperatore.

Rimini dunque è romana e augustea, per riprendere due aggettivi in voga negli anni Trenta del secolo scorso, all’epoca della nefanda “sistemazione” dell’Arco d’Augusto, isolato come se fosse un arco trionfale. Aggettivi che oggi trovano nuova vita, grazie all’edizione del Festival del mondo antico del 2014. Accantonata la suggestione di una Rimini già in precedenza colonia greca, l’antica città si staglia in tutta la sua muscolosa, prorompente e un po’ pletorica romanità, con i due monumenti più caratteristici e caratterizzanti: l’Arco e il Ponte. È proprio quest’ultimo ufficialmente il grande festeggiato, visto che iniziò a costruirlo Augusto nel 14 d.C., anno della sua morte, e fu completato anni dopo sotto il suo successore, Tiberio (21 d.C.). Oggidì per tutti è, impropriamente, il Ponte di Tiberio, a omaggiare uno dei più grandi “imbucati” della storia ma a cui invece vanno sottratti molti meriti (tutt’al più si potrà ricorrere all’escamotage, alquanto macchinoso, di chiamarlo Ponte di Augusto e Tiberio).

I due monumenti sottolineano, tra l’altro, la funzione fondamentale di snodo di Ariminum nel sistema viario dell’Italia. La città costituisce infatti il raccordo tra la via Flaminia e la via Emilia, nonché con la non molto distante via Popilia. E l’interesse per le prime due vie è tangibile in tutta l’età augustea, sicuramente già a partire dal 27 a.C., data del restauro e dei lavori per potenziare la via Flaminia (come ricorda l’iscrizione nell’Arco, in cui si sottolinea quanta cura avesse il principe nel rendere praticabile ovvero fortificare quella e le altre più importanti e trafficate strade d’Italia).

Arco e Ponte: due simboli che susciteranno sempre l’attenzione dei viaggiatori, sia quelli rapsodici e occasionali sia le orde turistiche di recente memoria. E non solo. In pieno Quattrocento, Leon Battista Alberti, seguendo la volontà di Sigismondo Pandolfo Malatesta, si ispirerà nella facciata del Tempio Malatestiano proprio all’Arco, con risultati ancora oggi magnificati. È però decisamente sovrastimata l’ipotesi che il signore riminese voglia proporsi come novello Augusto. È ben vero che anche lui, come molti del resto ai suoi tempi, rimane affascinato, a livello iconografico, dall’imago imperatoris. Ma il suo vero modello, se solo si sfoglia il De re militari del letterato a lui più vicino, Roberto Valturio, è un altro: nientepopodimeno che Alessandro Magno. Ovvero il modello dei modelli, non solo nell’Antichità.

Soprattutto l’Arco dice molto dell’ideologia augustea. Oltre alla sua importante iscrizione, va ricordato il grande fornice, che per le sue dimensioni non poteva ospitare una porta. Permetteva così il libero passaggio in città, senza sbarramenti di sorta. Un segno, implicito ma tangibile, che davvero si è entrati in un periodo di pace, ovvero il periodo della pax Augusta, tanto decantata dalla propaganda e dalla pubblicistica dell’epoca.

Con un po’ di mestizia, occorre riconoscere che le immagini clipeate con Nettuno e Roma all’interno, e all’esterno Apollo e Giove, poco o nulla dicono agli ignari e ignavi passeggiatori, italiani e soprattutto stranieri (la zona ben si presta ai cultori, o meglio fruitori della lingua di Tolstoj e Dostoevskij, peraltro in tutt’altre faccende affaccendati). Sic transit gloria mundi, occorre confessarlo. Apollo e Nettuno, due divinità che richiamano evidentemente Augusto e la vocazione marittima di Ariminum. Tralasciando Giove, Roma incarna invece bene l’importanza del culto della città (Dea Roma), che insieme al culto del principe è uno dei principali collanti politico-religiosi nell’impero romano. Il potere è il potere, anche sotto l’Arco.

*docente di Storia greca all’Università di Bologna

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