L'interpretazione surreale del design

Rimini

MASSALOMBARDA. È un mondo onirico, poetico, colorato di ironia quello creato dalle sculture e dagli oggetti di design di Marcantonio Raimondi Malerba. Le sedie diventano lampadari, casse da imballaggio si trasformano in comò e cassettiere, i tavoli si fondono con cestini e tronchi d’albero o mettono i pattini ai “piedi”. Reinterpretazioni. Assemblaggi. Gli oggetti che hanno una storia diventano creazioni fantastiche e surreali che rievocano la filosofia dadaista, Duchamp. «La vera libertà è il fatto che ogni cosa può essere intercambiabile, può assumere diverse funzioni. L’oggetto completo è quello che ti dice qualcosa di nuovo con qualcosa di vecchio. Tutti inoltre dovrebbero avere una propria concezione della bellezza al di là di mode e status symbol».

Così nascono le opere di questo artista-designer, nato a Massalombarda (1976), che, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti e aver intrapreso la strada della scenografia, ha iniziato a creare pezzi unici di design ed opere d’arte (soprattutto sculture), arrivando ad originali contaminazioni. Da tempo collabora con importanti aziende italiane raggiungendo notorietà anche all’estero. Nel suo laboratorio a Cesena ogni oggetto, mobile, scultura è forma tangibile di un’idea, una filosofia, una poesia. Delicate, le Sedie con germoglio raccontano di una natura che vorrebbe riprendersi il suo spazio. Un grande gorilla su una cattedra è l’immagine efficace dell’istinto che vince la razionalità. Una struttura fatta di sedie in bilico sul dorso di un rinoceronte bianco, quieto ma in procinto di muoversi, è la metafora della precarietà delle opere umane in confronto alla potenza imprevedibile della natura. «L’uomo si dovrebbe ridimensionare, dovrebbe prendere coscienza che sta distruggendo tutto quello che lo circonda – spiega Marcantonio –. La natura è sconvolgente nella sua bellezza, sia nel micro che nel macro e proprio il rapporto uomo-natura è alla base di molte mie creazioni. La versione più bella delle cose è quella reale».

Come è nato il suo amore per l’arte e il design?

«Quando ero piccolo sognavo di fare dei giochi, li smontavo e li rimontavo in modi diversi. Ho sempre avuto una vera e propria passione per gli oggetti che riescono a comunicare una storia. Raccoglievo e collezionavo di tutto. Sono ancora molto in contatto con il mio immaginario dell’infanzia. Mi piace giocare con gli opposti, creare contrasti divertenti che facciano riflettere. L’ironia è una cosa serissima». Da un angolo del laboratorio sbucano dei bastoni da passeggio con le rotelle, in un altro dei sassi con i manici, sul soffitto dei lampadari fatti di abat-jour, lanterne, lampadine e fili al neon. Un “paese delle meraviglie” popolato anche di coccodrilli che trasportano appendiabiti, elefanti con vasche da bagno e cuori in ceramica da cui nascono splendidi gigli.

Che cos’è per lei il design?

«Il design è arte, perché l’arte ha una sua funzionalità che è quella di far riflettere. A questo si aggiunga un aspetto provocatorio che fa parte del mio carattere e quindi di ciò che creo».

Ad esempio assolutamente provocatoria è l’opera Amen: Gesù è sceso dalla croce. È seduto, stanco. Una mano sulla testa. L’altra appoggiata senza forza sul ginocchio. Tra le dita e sparsi per terra i chiodi. «Gesù sulla croce è un’immagine che fa riflettere, ma oggigiorno ci siamo abituati. Dopo duemila anni è più potente emotivamente vedere Gesù seduto».

Ironicamente provocatori anche i Sending animals, contenitori per piatti e oggetti vari a forma di mucca, maiale, oca, che hanno avuto un grande successo in Italia e all’estero. Sono il trio per eccellenza della fattoria. Le casse, all’interno delle quali vengono spediti in modi assurdi per arrivare ai mercati, prendono appunto la loro forma.

«I miei lavori non sono collocabili in un tempo preciso. Spesso nascono da un desiderio onirico e capisco che l’idea è buona quando mi emoziona. Sono un osservatore e voglio far riflettere».

Quali materiali utilizza maggiormente?

«Tutti tranne la plastica e la resina».

Qual è il suo oggetto di design più costoso? «Il Self container, un armadio umanizzato che può contenere solo se stesso». Al suo interno, infatti, c’è una grande cassa toracica con tanto di cuore e polmoni.

Quanto l’essere originario della Romagna influenza il suo lavoro?
«Certamente c’è un humus dentro di me. Il contatto con la natura, con il mare, la montagna, per me è fondamentale».

Ha mai pensato di trasferirsi a Milano?

«No, non voglio allontanarmi. Il mio obiettivo è lavorare tanto rimanendo qua. Qui c’è tranquillità, del buon cibo, mi piacciono i ritmi di vita. Ho bisogno di lasciarmi decantare, come il vino. Il mio sogno è costruirmi una casa in campagna».

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