Il tratto che reinventa il mondo intero

Rimini

 

RIMINI. Per un certo periodo due romagnoli di “confine” furono pressoché vicini di casa nella Bologna d’inizio ottocento: fatto di per sé irrilevante se non fosse che i due furono quasi coetanei, entrambi artisti di vaglia, nonché stimati membri e docenti della prestigiosa Accademia Clementina. Il primo è conosciuto ai più: Francesco Rosaspina, «incisor celebre» (1762-1841), nato a Montescudo; il secondo Antonio Basoli (1774-1848), un poco più giovane, che veniva da Castel Guelfo, nella Romagna bolognese. Qui s’intende parlare solo del secondo e della strepitosa mostra a lui dedicata nel piano nobile di Castel Sismondo, nell’ambito della prima Biennale del disegno della città di Rimini (fino a domenica 8 giugno). Ma il raffronto iniziale mi è oltremodo necessario: a unirli il servizio meticoloso e maniacale offerto al disegno, la pignoleria sublime, la fedeltà a un ideale di perfezione irraggiungibile. Eppure mentre Rosaspina riproduceva con somma eleganza la storia della pittura italiana in stupefacenti incisioni, creando coi propri collaboratori e discendenti un vero e proprio museo di carta; Basoli reinventava il mondo, le sue attività e i suoi mestieri, immaginando l’inimmaginabile. Tanto il primo era disposto a viaggiare fino a Parigi per meglio adempiere al proprio ufficio di finissimo copista, osservando i dipinti esuli dal vivo, tanto l’altro che racchiudeva, «gli infiniti universi e mondi» nelle sue innumerevoli carte, rimase chiuso nelle mura della sue Bologna, splendida ancora di quel sacro Golgotha visivo che, per usare l’espressione di Marc Fumaroli, riluceva della grande arte sacra seicentesca e settecentesca.

Se Rosaspina fu un entusiasta delle rivoluzioni europee, Basoli, probabilmente d’idee liberali, restò comunque distante dalla storia e dalla politica, indifferente persino al male che gli venne arrecato da un aggressore e che gli costerà la perdita di un occhio. Rinunciò a Napoli, a San Pietroburgo, a Vienna, alle Americhe, dove l’avevano invitato e molto desiderato.

Non ho citato a caso Giordano Bruno, e dovrei aggiungere Tommaso Campanella o meglio ancora Tommaso Garzoni da Bagnacavallo: Basoli eredita, nelle forme dell’arte, l’eclettismo enciclopedico della cultura filosofica italiana e la passione per l’immaginario mnemonico e mnemotecnico. Forse con l’erudizione avrà trattenuto alcunché dell’unità platonica, biblica, esoterica che vi giace al fondo. Compulsando tutti i possibili repertori iconografici, i dizionari, lezionari, sillabari, i resoconti di viaggio, le descrizioni geografiche, antropologiche, botaniche, zoologiche, ci ridona intero e rinnovato, «il teatro del mondo». E non solo del nostro, visibile, ma anche quello degli universi immaginari. Docente di scenografia, l’idea di quinta, di fondo, di prospettiva gli sono connaturali. La storia dell’arte ne ha fatto un decoratore di stanze, e ci è voluta la mente filosofica e insieme la perizia critica della curatrice Eleonora Frattarolo – responsabile del Gabinetto dei disegni e delle stampe dell’Accademia di Belle arti di Bologna – per toglierlo dal suo destino umbratile e farne il grande precorritore della cinematografia contemporanea, degli esiti simbolisti e visionari della pittura europea.

“Il giro intorno al mondo” è il titolo che la Frattarolo ha apposto a mostra e catalogo: la prima allestita sapientemente da Mario Brattella, il secondo (Medusa, Milano) elegantemente realizzato secondo il progetto grafico da Luciano Leonotti.

Nelle ampie sale del Castello, sembrano senza fine le immagini e le loro possibilità di lettura: dalla scelta straordinaria delle Fiabe di Esopo, ai Quattro continenti, di collezione privata, ch’ebbi per primo la fortuna di poter riconoscere in una selezionata raccolta riminese. E sono però gli albi e i taccuini, raddoppiati di spessore per l’uso dell’inchiostro e dell’acquerello, a invitare l’esplorazione interminabile del reale e dell’immaginario, raccontati e intessuti con l’abilità di un minuzioso calligrafo. Dà la vertigine fantasticare che tutto ciò non è che una minima parte del lavoro di Basoli.

Questa mostra è la «piccola sfera cangiante» di Borges: l’Aleph il cui centro è dappertutto e la circonferenza in nessun luogo: dove si raccolgono ogni lettera e ogni pagina di ogni libro, il giorno e la notte e un tramonto argentino che ha le cromie di una rosa sbocciata in Bengala. Dove le lettere dell’Alfabeto pittorico, “rubate” da Michael Ende per i capoversi della Storia infinita, sono palazzi abitati da ogni manifestazione visibile di vocali e consonanti. Dove il disegno e la pittura possono rendere niente di meno che «l’inconcepibile universo».

*storico e critico d’arte

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