Il viaggio di Joyce Lussu per l’indipendenza e l’identità delle donne

RIMINI. Apre, venerdì 8 marzo, con il documentario dedicato a Joyce Lussu, il ciclo Parla con lei. Sapienza contro violenza, promosso dal Coordinamento Donne Rimini. La proiezione del film La mia casa e i miei coinquilini. Il lungo viaggio di Joyce Lussu di Marcella Piccinini si tiene alla Cineteca comunale (via Gambalunga, 27) alle 21, alla presenza della regista in dialogo con Giulia Palloni, Giusi Delvecchio e Francesca Panozzo, salutate da Emma Petitti, assessora alle Pari opportunità della Regione Emilia-Romagna.

Di questo personaggio emblematico della cultura e dell’antifascismo, Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti che prese il cognome del secondo marito, Emilio Lussu, Marcella Piccinini ha voluto mostrare tutta l’originalità e l’indipendenza critica. Lo ha fatto con un viaggio a ritroso nel suo impegno e nella sua attività di poetessa, scrittrice e traduttrice, e nella sua vita privata, nei rapporti con il marito, la famiglia d’origine, il figlio Giovanni…

Fu una donna dalla visione e dalle esperienze internazionali: la famiglia era di origine inglese, l’antifascismo dei genitori costrinse Ginevra e i suoi a raggiungere la Svizzera nel 1924 (lei aveva 12 anni) mentre i suoi studi di filosofia li compì a Heidelberg senza però completarli perché l’avvento del nazismo glielo impedì moralmente… Tra il 1934 e il 1939 visse in Africa e poi, con Emilio, a Parigi… ma la parte importante della sua vita Joyce Lussu la dedicò a un’isola, la Sardegna.

«Un luogo importante – chiarisce Marcella Piccinini – legato al marito e alle sue origini, un luogo “scelto” da Joyce alla fine della guerra dove conobbe cose ancora nuove, e operò moltissimo per appoggiare le donne… Il filo rosso che attraversa il documentario del resto è proprio la sua storia di donna, anche nel processo di distacco da Lussu: la Sardegna rappresentò in questo un modo dove trovare la propria identità, un luogo in cui tornare ma a cui portare anche stimoli dall’esterno. Succedeva per esempio che quando iniziò a occuparsene lei, Nazim Hikmet forse più noto nell’isola che altrove, come si vede nel film con l’intervista a un pastore che recita un brano del poeta turco…».

E lei, invece, come è venuta in contatto con Joyce Lussu?

«In una sua intervista a Bellocchio, vidi una donna dal carattere fortissimo, grintoso. Poi, leggendone i libri, le raccolte di poesie, trovai invece grande dolcezza, anzi un aspetto romantico che avrebbe fatto quasi pensare a un’altra donna rispetto a quella dell’intervista. Mi colpirono allora la sua versatilità, il suo fare da stimolo ad altre donne, la volontà di capire: altre culture, altre lingue, il diverso da sé».

E a tutto, come poi al suo femminismo, dava un tocco suo.

«Sì, se le interessava un autore, partiva e andava a conoscerlo: non è solo la lingua, infatti, che fa comprendere, ma la cultura, i luoghi, i colori, gli odori… così fece con Hikmet, andando a vivere in prima persona le atmosfere da cui quelle parole nascevano, qualcosa in cui dal canto mio sento di assomigliarle, e di ripercorrere strade comuni».

Ma Joyce Lussu fu anche autrice di “L’olivastro e l’innesto”, dedicato proprio alla Sardegna, o “Fronti e frontiere”.

«E raccontò il dolore della guerra attraverso la vita, il contesto familiare, l’amore per Emilio e per il figlio, la sua cura per i fiori… Di fronte a donne che oggi, per avere un ruolo sociale, tendono a “maschilizzarsi”, Joyce fu capace di vivere la propria femminilità a pieno, anche in situazioni disastrose, anche quando erano inseguiti dall’Ovra. Ma credeva nella famiglia e nell’amore, e questo le dava la forza».

Nel documentario il figlio Giovanni è molto presente.

«Sì e ho proprio voluto in chiusura la bellissima poesia che Joyce gli dedica, perché parla di un amore infinito, ma anche del senso di colpa che la società instilla in una donna che cerchi una forma di gloria, di realizzazione personale, e viene fatta sentire colpevole di “tradire” la famiglia».

Antifascista, femminista… ma è difficile inquadrare Joyce Lussu in una categoria.

«Non si chiuse mai in un gruppo, infatti, e anche questo me la fa apprezzare. Ha sempre parlato di esseri umani senza esclusioni nei confronti dell’altro, degli uomini, per esempio, partendo da un’ottica di genere esclusiva. A mia volta, quando ho intrapreso il montaggio, mi sono rivolta a un uomo, con cui è stato interessante il confronto, anche partendo dalle nostre differenze».

Ma a lei personalmente cosa lascia Joyce Lussu, che chiamava i giovani «il mio futuro vivente»?

«Nel nostro lavoro, nei festival, le donne, è vero, sono ancora molto poche. Io però guardo a lei, che ce l’ha fatta in condizioni ben più difficili delle nostre, con la guerra, il fascismo: e allora, mi chiedo, perché crogiolarsi? E mi lascia un altro monito: non dobbiamo perdere la dolcezza, che ci caratterizza, e la nostra tenacia insieme alla capacità di darsi da fare insieme agli altri. Nel corso della ricerca tanti suoi amici sono diventati miei: un cerchio, una forza che ora fanno parte della mia vita».

Info: 0541 704545 – 704486

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