L’arte giapponese nelle opere dell’artista riminese

Rimini

RIMINI. La storica Elisa Tosi Brandi, ricercatrice e docente all’Università di Bologna, pubblica nel 2007 su Ocula 8, disponibile sul web, “Comunicare seducendo: la moda nell’opera di René Gruau”, un saggio molto illuminante sulla produzione grafica di Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate (Rimini 1909-Roma 2004), in arte “Gruau”.

L’autrice mette in risalto con grande competenza quanto l’arte giapponese influenzi profondamente lo stile dell’artista riminese. Il modello di riferimento sono le xilografie policrome della grande tradizione nipponica di Utagawa Hiroshige, Katrushika Hokusai, Utagawa Kunisada, Utagawa Kuniyoshi, Kitagawa Utamaro, un gruppo di artisti nati nella seconda metà del Settecento a Edo, il nome dell’odierna Tokyo fino al 1868.

Semplificando, gli elementi comuni riguardano l’uso di colori brillanti impiegati su superfici piatte dove si inseriscono figure ed elementi decorativi eleganti e ben definiti dal segno. A questi si aggiungono i tagli compositivi che spostano il peso delle immagini in aree contrapposte a spazi vuoti, l’alternanza di colori chiari e scuri fortemente contrastati così come lo sviluppo verticale dell’immagine tanto da restringere il campo di visuale focalizzandolo sul soggetto. Artifici impiegati magistralmente da Gruau, pubblicista “situazionale”, per realizzare contesti e “momenti” coinvolgenti emotivamente l’osservatore e condurlo al prodotto. Una tecnica che lo differenzia dal comune linguaggio pubblicitario attuale centrato principalmente sull’immagine di quest’ultimo.

Durante la sua lunga carriera l’artista produce una consistente serie di opere non vincolata alla committenza commerciale, dove è ancora più potente la fascinazione della grafica del Sol levante. Realizza così una sorta di database dal quale attingere, recuperando idee e immagini per le promozioni che gli vengono affidate. Emblematiche in tal senso le campagne pubblicitarie per le collezioni di Laura Biagiotti, tutte impostate sul segno “volante” alla giapponese.

Nella seconda metà degli anni Settanta, alla serie dei samurai e dei guerrieri si aggiungono alcuni acrilici su tela dedicati a maschere ispirate al trucco degli attori del teatro kabuchi dove il bianco, colore della gioventù, della bellezza e della fragilità femminile, ne copre il volto, mettendone in risalto l’impassibile immobilità. Su questa superficie “vuota”, risaltano le labbra rosse, il “tocco” di colore agli angoli della fenditura degli occhi, laghi oscuri privi di iride e pupilla, e le sopracciglia disegnate in posizione più alta del normale. L’evidente richiamo è alle geishe e alle grandi cortigiane del periodo Edo. I personaggi maschili al contrario, hanno il volto attraversato da linee di espressione dei colori corrispondenti allo stato d’animo del momento.

Gruau rivisita in chiave moderna questi modelli rigorosamente codificati dalla tradizione nipponica, realizzando maschere fortemente personalizzate, caratterizzate da una “non espressività” misteriosa e inquietante, di straordinaria suggestione. Una fantastica creazione assolutamente libera, dai lacci dei contratti commerciali e dei tempi di consegna.

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