Fondersi per poi allontanarsi, Cristiano Cavina firma "Ottanta rose" per fugaci attenzioni

Ravenna

Torna Cristiano Cavina (classe ’74) e lo fa con un racconto denso, ricco di emozioni, vita e meraviglia. Lo scrittore di Casola Valsenio, dopo essersi misurato negli anni con diversi generi letterari fino a toccare anche la letteratura young, pubblica Ottanta rose mezz’ora (edizioni Marcos Y Marcos), storia d’amore, incentrata su due esistenze che si incontrano ed entrano in sinergia, quasi per caso: uno scrittore che lentamente sente su di sé il peso di una professione certamente non facile («Scrivere ti sfianca, a stento ci guadagni di che vivere e dieci anni dopo l’esordio alzi gli occhi, ti accorgi di come i fallimenti si sono depositati dentro di te, uno sopra l’altro, come strati geologici») e Sammi, che insegna danza alle bambine, «ballerina, abbastanza brava per insegnarlo, ma non per farlo di mestiere».

Tra i due personaggi nasce una storia intensa, fatta di passione, allontanamenti e avvicinamenti continui, finché la necessità economica di lei, il desiderio di entrambi di vivere una situazione al limite e di mettersi alla prova, li porta a una scelta che solo in apparenza pare facile, comoda, una via di fuga: Sammi decide di creare un annuncio online e “aprire la porta agli sconosciuti”.

Inizia per i due un circolo fatto di emozioni violente, sentimenti contrastanti e volti che, uno dopo l’altro, pagano le “80 rose” per godere delle fugaci attenzioni della protagonista, che resta però fortemente legata alla passione per il suo uomo: i due continuano a vivere un rapporto che li porterà alternativamente a fondersi per poi allontanarsi, in un vortice di attrazione e seduzione in cui il gioco diventa più grande di loro, li risucchia, fino a farli perdere tra le sue spire.

Una storia che – afferma Cavina – «non nasce da nessuna precisa e codificata idea iniziale, ma è semplicemente accaduta e, dopo quel momento, esigeva inevitabilmente di essere scritta».

Il racconto mescola sapientemente realtà e fiction, in un gioco di specchi e continui rimandi tra i due piani, che sfumano uno nell’altro, e forse non ha neanche importanza stabilire quali elementi possano essere veritieri e quali frutto della fantasia perché – come sottolinea l’autore – «un romanzo tratto da una storia vera è un’opera di fantasia quanto un romanzo inventato di sana pianta, ma in generale, i personaggi presenti nel libro assomigliano a quello che erano».

In Ottanta rose mezz’ora Cavina sceglie un modus narrandi estremamente asciutto e veloce, a tratti crudo nella rappresentazione della vicenda, ma la narrazione è allo stesso tempo capace di toccare quella «forte e testarda delicatezza» (l’ossimoro è voluto) che caratterizza Sammi.

L’autore predilige una scrittura pulita e insieme visiva, densa di cosalità, quasi cinematografica nella descrizione degli spazi e dell’incedere dei personaggi che vi si muovono, finalizzata a raccontare il più possibile quello che vedeva lo scrittore, a dare precisa rappresentazione dei film che inevitabilmente si proiettavano nella sua mente, senza «perdersi in spiegazioni di pensieri o sentimenti, che tanto non si possono spiegare».

«Il romanzo – racconta l’autore – è nato così, nello spazio di una settimana», anche se poi la correzione lo ha occupato per quattro mesi, accompagnandone «giorni e notti», ed è stato scritto a penna: proprio la manualità insita nella volontà di tracciare le parole, sentendo, lettera dopo lettera, il peso della penna, ha facilitato la grande asciuttezza espressiva che caratterizza il testo, perché, aggiunge Cavina, «l’atto fisico di scrivere a mano, ti obbliga a fare economia, a non tirarla per le lunghe».

Il romanzo segna una svolta nella produzione dello scrittore, in quanto affronta un amore ombroso, il delicato tema della prostituzione, del rapporto fra il corpo femminile e l’anima, la necessità di superare i pregiudizi e guardare oltre.

Argomenti spinosi, che per anni Cavina ha cercato di ignorare, temendo che i suoi «lettori affezionati avrebbero avuto uno shock», ma altresì una vicenda che lo scrittore «non ha scelto e non ha potuto fare a meno di raccontare», perché «quando una storia ti trova, spesso non ti lascia stare finché non la scrivi». Ed ecco allora che quei personaggi e quelle situazioni hanno reclamato il loro diritto di trovare rappresentazione in un libro capace di contenere le dicotomie che caratterizzano l’esistenza, un testo fatto – come sottolinea l’autore – «di luce e fango, oscenità e purezza, fallimento e redenzione».

Un romanzo che supera la crudezza delle tematiche trattate, dimostra la necessità vitale di elementi apparentemente antitetici per divenire – conclude Cavina – «la dichiarazione d’amore tardiva a una bellissima, coraggiosissima creatura».

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