Armido Della Bartola, arte in bianco e nero

RIMINI. «Credo che il pittore vero debba essere dotato prima di tutto del colore: un colore ricco… un tumulto di luci e tinte…», scrive Armido Della Bartola (San Mauro Pascoli 1919- Rimini 2010) nel suo libro del 1999 “Arcurd ad viaz sla testa te sàc, sla voja ad zoca zàla, e sa quela de zàcul” pubblicato da Hermitage Arte di Villa Verucchio. I cromatismi intensi e vivaci che lui impiega sono sicuramente una prova evidente di coerenza e uno dei motivi del suo successo. Perfettamente centrato quindi il titolo “Il colore e la sua magia” dell’elegante volume della collana d’arte “Artisti Riministi” diretta da Manlio Masini, edito da Panozzo di Rimini nel gennaio del 2008, dedicato a lui. Fra i testi all’interno redatti da Michela Cesarini, Alessandro Giovanardi, Silvana Giugli e dello stesso direttore Masini, quello di Giulio Zavatta, “Pensieri sulla carta fra ragione e sentimento”, mette a fuoco magistralmente quanta passione e quanto talento ci sia nella grafica di Della Bartola.

Il disegno, la sua forza

Senza nulla togliere al valore e alla prevalenza del colore nella produzione di questo eclettico e versatile artista, è il disegno il suo punto di forza: naturale, spontaneo e straordinariamente solido. La ricorrenza del centenario della sua nascita è una occasione straordinaria per rivalutarlo partendo da quel “Canovaccio di un pittore ottuagenario” realizzato da Newdada Comunications di Rimini che raccoglie, sono parole di Armido, «i disegni dimenticati per anni nei disordinati cassetti del mio studio, che riportano alla luce e forniscono testimonianza delle radici che hanno ispirato tutta la mia opera». I fogli non sono solo nei cassetti ma anche sui tavoli e sul pavimento sotto di essi, abbandonati e coperti di polvere. Si tratta di chine, carboncini, matite, pastelli che raccontano almeno cinquant’anni di attività messi alla rinfusa, che anticipano gran parte della sua produzione pittorica.

Un viaggio che parte dai luoghi pascoliani, la chiesina della Madonna dell’ acqua, villa Torlonia, il rio Salto, per passare alle immagini sacre poi agli appunti di viaggio nell’Italia del sud, a Montecatini, Venezia, alla foce del Po, a Ravenna, Gatteo, Cervia, Bagno di Romagna. Non mancano le donne, le azdore e i loro lavori domestici o nei campi, i vecchi mestieri, “e’ spranghin” che ripara pentole e ombrelli, l’ impagliatore di sedie, i suonatori ambulanti, i frequentatori dell’osteria, i marinai e i pescatori che rimagliano le reti, assieme ai raccoglitori di poveracce.

Poi la vita militare, i soldati inglesi, i comizi politici del dopoguerra, le macerie di Rimini, i monumenti, la spiaggia e il fiume Marecchia fino al porto canale e alla “palata”.

I ritratti familiari

Ai paesaggi “a modo mio”, informali fino a un certo punto degli anni Sessanta si aggiungono i ritratti familiari. In particolare quelli del padre amorosamente ripreso più volte assieme ai suoi strumenti di ciabattino, fino alla serie di intriganti nudi femminili. Tutta una vita narrata sulla carta.

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