Paolo Rossi in scena questa sera a Forlì

Un sogno, un teatro che parla di teatro… o qualcos’altro ancora? La nuova “puntata” del percorso che Paolo Rossi dedica al suo mentore Molière va in scena per la stagione di “Moderno” al teatro Diego Fabbri di Forlì questa sera alle ore 21. Con l’attore friulano, che è anche autore e regista di “Il re anarchico e i fuorilegge di Versailles”, Renato Avallone, Marianna Folli, Marco Ripoldi, Chiara Tomei, Francesca Astrei, Caterina Gabanella, le musiche sono eseguite dal vivo da Emanuele Dell'Aquila e Alex Orciari.

«Questa su Molière ormai è una “serie” – commenta ridendo Paolo Rossi –: è il mio quinto spettacolo che gira intorno a lui… Mi aspetto che mi chiami Netflix!».

Ma come arriva un teatrante così legato all’oggi come lei, a sentire tanto vicino un autore morto più di trecento anni fa?

«Non l’ho mai visto recitare… Ma con le debite proporzioni ci sono tante somiglianze fra di noi, prima di tutte il rapporto con il potere: sempre giocato sul piano della satira, con l’aggiunta però che il pubblico che aveva lui era allo stesso tempo il suo bersaglio. E poi il metodo di lavoro, in cui attore, persona e personaggio si mescolano, non per fare del metateatro, ma la vita! Infine, mi sento addosso un po’ il ruolo del riscossore di crediti: Molière rubò tanto alla commedia dell’arte, e io glielo riprendo!».

La satira sul potere, appunto, è stato sempre una delle chiavi del teatro di Paolo Rossi.

«Non rincorro la cronaca, anche se nello spettacolo ci sono ogni tanto dei riferimenti chiari, che poi mutano di sera in sera come muta la storia di questo periodo balordo. Questo lavoro in particolare si presenta come un “varietà onirico” che nasce appunto da un sogno e cerca di trovare una via di fuga dalla stagnazione della creatività che c’è intorno. “Il Re anarchico” del resto appartiene a quel “teatro all’improvviso” che è la nostra cifra stilistica, cerca e scopre quello che non si vede, immagina il passato per ricordarsi il futuro».

E i suoi compagni di lavoro la seguono.

«Alcuni sono con me da una vita, molti altri vengono dai laboratori che ho tenuto e continuo a fare. Il “teatro all’improvviso” del resto non è un metodo senza regole, anzi è una disciplina che si avvicina al jazz, con un canovaccio, una partitura, assolo, “obbligati”… che assumono un ritmo circolare. Ci si lavora in maniera quasi maniacale ma neppure si può fare lo stesso spettacolo due sere diverse: cambiano le tensioni, le energie in scena, nascono cose estemporanee generate non da un talento istintivo ma da un metodo antico che si sposa con le nuove tecnologie».

E lei che è sulla scena da molti anni, dal Teatro dell'Elfo dei primi anni Ottanta, cosa vede se si guarda indietro?

«Io parto dall’idea che bisogna ricominciare sempre da capo e che, per quanto riguarda me, il meglio lo devo ancora fare. Forse è per questo che fra il mio pubblico ci sono giovani e anziani, oltre a persone della mia età. Manca invece la fascia dei trenta-trentacinquenni: una generazione in qualche modo “saltata”, ma non solo per quello che riguarda me. Del resto, un teatro come il mio, antico ma vicino a forme di arte contemporanea, deve essere valutato più che per il risultato, per il processo creativo, e il compito che mi sento oggi è una specie di conforto laico, un “teatro-evento” vivo, in grado di offrire visioni sul presente, non necessariamente pessimistiche: anche se la “la confusione è grande sotto il sole e la situazione è eccellente!”».

Biglietti: 14-23 euro.

Info: 0543 26355 www.accademiaperduta.it

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