La vita di Maria Callas sul palco del teatro Galli di Rimini

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RIMINI. La Divina incantava. Voce e presenza carismatiche. Vita sotto i riflettori tra tormenti amorosi, successi e decadenza. In Maria Callas master class, in scena questa sera al teatro Galli (ore 21), di Terrence McNally, per la regia di Stefania Bonfadelli, ci sono luci e sofferenze sentimentali di questa leggenda della musica che conquistò palchi internazionali, teatri in tutto il mondo ed entrò negli ingranaggi di uno star system rivelando forza e fragilità.

Nei panni della diva, Mascia Musy, attrice dalla ricca carriera teatrale, tra classici e testi più contemporanei, diretta da grandi registi come Nekrošius, Patroni Griffi, Luca De Fusco, che ora si misura con questo suggestivo ruolo.

Ad accompagnare la recitazione la riproposizione di alcune famose arie (da “Macbeth”, “Tosca”, “La sonnambula”), eseguite dal vivo da un tenore e due soprano, e una preziosa registrazione originale.

Come ha accolto l’offerta di essere la protagonista di questo spettacolo?

«Ci ho messo un po’, è stata una sfida. Ho fatto un patto con la regista: che non mi chiedesse di cantare. Mi sono avvicinata a questo ruolo in punta di piedi, con grande attenzione, per rievocare questa specialissima creatura omaggiandola».

Quali caratteristiche di Callas emergono soprattutto?

«Questa pièce è incentrata sulle lezioni che la cantante tenne alla Juilliard School di Music di New York alla fine della sua carriera. Era una donna che dedicò tutta se stessa alla sua passione. Molto disciplinata, capace di grandi sacrifici. Attenta ai dettagli, sempre. Forte e fragile allo stesso tempo. Sensibile. Qui incontriamo una Callas che si lascia trasportare dai ricordi. L’arte e la vita si mischiano in quella che è stata la sua complicata esistenza. Una lezione di vita per me, per il pubblico, per quanti conoscono bene la sua storia e per chi la conosce poco. Un’occasione per ricordarla e per imparare tante cose».

Cosa ad esempio?

«Uno dei suoi insegnamenti e il più importante è quello di andare oltre gli aspetti tecnico-artistici, di rischiare e mettere in gioco se stessi. Quello che ho fatto io accettando questa parte».

Vengono rievocati anche i suoi due grandi amori.

«Sì, Meneghini, colui che la fece nascere e crescere professionalmente, e poi il grande amore Onassis, grazie al quale riscoprì la propria femminilità soffocata dalla relazione precedente. Dimagrì tantissimo, divenne più bella, sensuale per lui. La dimensione privata e quella artistica andarono di pari passo».

Quanto è difficile per chi fa l’artista far convivere queste due dimensioni senza eccedere da una parte o dall’altra?

«Certamente non è facile. Io ho sempre creduto al valore della famiglia, ho sempre pensato che l’essere soli non sia una forza, che lo stare insieme a qualcuno produca vita, naturalmente questo qualcuno deve essere la persona giusta. Certo l’aspetto creativo è legato alla solitudine, a spazi di immersione personali, ma poi è lo stare in coppia che sostiene».

Sono passati più di 40 anni dalla scomparsa della Divina. Quanto secondo lei è ancora nel cuore del pubblico?

«Moltissimo. È questo forse anche un vantaggio di chi fa musica rispetto a chi fa teatro, il poter rivivere grazie ai dischi. L’attore di teatro vive l’unicità dello spettacolo, del rapporto diretto con il pubblico, ma se c’è stato un errore o un momento sublime questo non si può recuperare».

Info: 0541 793811

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