Quante cose belle per Filippo Graziani!

Rimini

RIMINI. Tutto è pronto al teatro Novelli per accogliere sabato 5, alle 21, la seconda tappa del suo tour Le cose belle. Filippo Graziani, dopo la partecipazione al Festival di Sanremo, torna nella sua città natale 

Il sanremese Le cose belle, attualmente in radio, ha vinto il Premio Lunezia come miglior testo nella categoria “nuove proposte”, ma l’intero album sta riscuotendo grande successo: dieci canzoni in cui Graziani si racconta attraverso una narrazione spontanea e nel contempo profonda e un mix di suoni che rappresenta il suo vissuto e la sua crescita musicale.

Le cose belle tour prosegue il 9 aprile all’Auditorium della Musica di Roma, il 7 maggio a Padova, l’8 a Firenze, il 15 a Milano, il 16 a Torino.

Filippo, figlio trentenne del noto cantautore Ivan, ha iniziato a suonare a 18 anni mostrando un innato talento, come il fratello Tommy, noto batterista, con il quale ha iniziato facendo serate dal vivo in tutta Italia per poi dividere il palco con artisti come Renato Zero, Vibrazioni, Morgan, Negramaro, Niccolò Fabi, Max Gazzè, e molti altri.

È arrivato poi il grandissimo il successo con il tour Viaggi e intemperie e l’album Filippo canta Ivan Graziani live, che nel 2011 lo ha portato tra i 5 finalisti per la targa Tenco come miglior interprete.

Il nuovo tour è partito alla grande dal teatro Flaiano di Pescara, sappiamo che è stato un momento magico. Come ci si sente?

«Molto bene, sono contento. Sanremo è stata un’esperienza bellissima che mi ha dato la possibilità di cambiare categorie di riferimento e soprattutto un modo per far conoscere il mio mondo. La gara in sé mi interessa relativamente, importanti sono le relazioni che nascono e tutto l’aspetto della promozione che ne deriva».

Come definirebbe il concerto?

«Un concerto dai toni rock, del resto l’album presenta suoni che sono la sommatoria dei miei ascolti, dal folk degli anni Sessanta alla musica odierna, passando per il pop elettronico degli anni Ottanta».

Chi c’è sul palco? Tommy Graziani naturalmente?

«Sì, certo, mio fratello non può mancare. Ad accompagnarmi è la mia band: Marco Battistini al basso e synth, Massimo Marches alla chitarra, Tommy Graziani alla batteria e Mattia Dallara al synth».

In concerto propone anche dischi precedenti.

«Sì, vado indietro, il concerto è una sorta di calderone in cui inserisco anche pezzi di altri, alcune cover, e anche brani del babbo».

Cosa c’è di diverso ad essere sul palco come Filippo, rispetto al precedente tour Viaggi e intemperie dove il repertorio era quello di suo padre?

«È molto diverso e la differenza sta nel fatto che qui sono io che mi racconto, non devo più parlare per terzi, era da tempo che volevo farlo, che desideravo emanciparmi!».

Domanda inevitabile: cosa significa essere figlio d’arte?

«Ancora non l’ho capito neanche io cosa significhi. Può essere negativo e positivo, non c’è una linea, dipende dalla situazione, da come stai tu».

Musicalmente cosa la accomuna a Ivan?

«L’impostazione, il modo di concepire la canzone, il metodo, ma non c’è solo quello di mio padre. Gli insegnamenti sono anche quelli di altri artisti che ascolto e con cui ho lavorato».

E anche la chitarra per lei conta come per lui?

«Non necessariamente, sì, è importante, ma io suono e sperimento anche altri strumenti e sonorità».

Come nasce un suo brano: prima la musica o il testo?

«Di solito scrivo la musica, poi ci canticchio sopra. Solo a volte nasce prima il testo».

E dove è nato questo nuovo album? A Novafeltria ci torna?

«L’ho scritto a Milano. Novafeltria è una base, lì rimetto in sesto le idee. C’è la mia casa, c’è la mia famiglia e ci sto bene, forse anche perché ci vado poco!».

Ma dove le piacerebbe abitare, vivere e lavorare?

«A New York».

Ci è stato molte volte?

«Sì, e ogni volta per tutto il tempo che la carta verde mi permetteva di rimanere. Ho suonato nei club del Lower East Side, compreso lo storico Arlene’s Grocery, che ha visto esibirsi Jeff Buckley».

Lei ama definirsi un artigiano cresciuto nella bottega artigianale aperta da papà. È bella questa definizione.

«È così, mi sento artigiano, non artista, e mai mi definirei tale, neppure il babbo lo faceva».

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