La vera storia di Scureza ad Corpolò il motociclista pazzo di “Amarcord”

Rimini

RIMINI

Paolo Mazzocchi

Finalmente si scopre l’anello mancante che univa due mondi, apparentemente lontani ma intrinsecamente uniti nell’animo dei riminesi: da una parte l’emisfero felliniano dove, nascosti sotto strati di fantasia, ricordi, amori, spunta sempre fuori la sua Rimini; dall’altra l’amore tipicamente romagnolo per la motocicletta, “e’ mutor”.

Rimini, la città, fa da cassa di risonanza delle scorrerie notturne del nostro “Scureza”, personaggio misterioso del film Amarcord, racchiuso in pochi fotogrammi, un’apparizione, una scintilla che appare e scompare a bordo di una motocicletta dal tipico rombo capace di suggerire un soprannome.

Si pone urgente una domanda: il motociclista di Amarcord è veramente esistito, come altri personaggi del film, o è solo frutto dell’incontenibile fantasia del maestro?

Frugando fra le nebbie del passato, consultando i polverosi archivi dello Sport Club “Il Velocifero”, interrogando i pochi anziani ancora partecipi dei ricordi di un’epoca lontana nel tempo, ecco venir fuori la risposta, ma anche una bella storia di amicizia.

La storia

Due giovani, quasi coetanei, all’inizio del Novecento, in un’Italia ancora legata alla terra, avvolti nell’atmosfera di rinnovamento e di audacia prodotta dall’invenzione del motore a scoppio, dell’elettricità e quant’altro, decisero di scrollarsi di dosso le convenzioni che frenavano il bisogno di libertà tipico della loro età. Ad esempio Mussolini, in nome dell’“Italia rurale”, aveva scritto che occorreva «osteggiare con ogni mezzo l’immigrazione nelle città». Insomma, chi viveva in campagna doveva restare in campagna.

Un giorno, un giovanissimo Attilio Vignali, classe 1902, detto “Tiglio”, scese a Rimini per i fatti suoi, qualcuno lo redarguì neanche fosse un migrante: «Tornatene in campagna!».

Risentito per la triste avventura, parlò con l’amico Gioacchino Belluzzi, classe 1905, meccanico. Insieme prepararono una lenta vendetta.

Belluzzi a 19 anni aprì un’officina meccanica, nella sede dell’attuale Farmacia di Corpolò, poi fece il militare all’autocentro di Bologna dove acquisì ulteriori competenze tecniche. L’officina esiste ancora, è più defilata ed è gestita dal figlio, brillante ultrasettantenne.

All’inizio degli anni Venti il motorismo italiano assiste alla nascita della Moto Guzzi per opera di Carlo Guzzi e Giorgio Parodi. Questo Parodi è un fascista della prima ora, un “sansepolcrista” amico di Italo Balbo. Chissà come, la Guzzi vince la gara per le commesse militari fino ad allora in mano alla ditta Frera, nata nel 1905. L’esercito italiano dunque cominciò a dismettere le Frera. Fu così che Belluzzi, il meccanico, riuscì a riparare e far acquistare per sole 2mila lire all’amico Tiglio una Frera usata, dismessa dal Regio Esercito, una bicilindrica di cc. 1135, modello 1921, dall’inconfondibile rumore scoppiettante. Bisogna aggiungere che una Guzzi nuova costava allora circa 6mila lire, come un piccolo podere, una “pussion”.

Col tempo l’amicizia si consolidò, gli affari anche. Vignali, insieme ai fratelli, ampliò la ditta edile che edificò parte dell’attuale frazione di Corpolò. Belluzzi, il meccanico, aggiunse all’officina un servizio taxi con una Fiat 509 che operò fino alla Seconda guerra.

Il nomignolo “Scureza” fu coniato con arguzia, un po’ per invidia, un po’ per il tipico rumore del bicilindrico, dal popolino riminese che non digeriva il fatto che un campagnolo “ad Corpolò”, il Vignali appunto, ostentasse la sua Frera scorrazzando provocatoriamente per le strade di Rimini nel silenzio della notte.

Forse per ritorsione, a Corpolò gli abitanti della città erano chiamati con il soprannome di “sipuloin” (seppiolini), non nascondendo implicazioni sessuali.

La guerra coprì tutto di macerie e oblio, la gente voleva dimenticare. Ci penserà Fellini a riportare in vita il mito del “motociclista folle”.

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