Valerio Mastrandrea presenta il suo film: «Il dolore va affrontato»

Riccione

Un vuoto improvviso da colmare, un’assenza che quasi toglie il fiato e un passato che non accenna ad andarsene, il tutto per tentare di affrontare un futuro ormai prossimo per riempire il vuoto lasciato: questo e molto altro affronta Ride, il film che segna il debutto alla regia di Valerio Mastandrea che sarà, insieme all’attrice protagonista Chiara Martegiani, ospite stasera al Cinepalace di Riccione alle 18.30 e alle 20.30.

Il film racconta di Carolina, una neo vedova alle prese con il funerale del marito deceduto sul posto di lavoro e con le domande del figlio incredulo nel vedere come di fatto la madre non pianga e non si disperi per la perdita del suo compagno.

Ride è un film puntuale e delicato che non racconta un dolore “convenzionale”, ma che va oltre, esattamente come Mastandrea, attore raffinato fra i migliori interpreti della sua generazione, intelligente e attento nel conoscere le potenzialità espressive dei personaggi che va a interpretare. Del film ne abbiamo parlato proprio con lui.

Mastandrea, lei ha un bella carriera alle spalle, ma a un certo punto ha deciso di passare dietro alla macchina da presa. Perché? Cos’è cambiato rispetto a prima?

«Ho cominciato a fare l’attore diversi anni fa; piano piano ho scoperto quanto fosse entusiasmante essere nella vita di qualcun altro: sentivo il bisogno di recitare. Passare dietro la macchina da presa è stato un passo naturale. Ho deciso di fare proprio questo film, non un altro. Volevo evolvermi provando a esprimermi da un’altra angolazione, più complessa, più faticosa e con più responsabilità. Volevo portare una tematica che parlasse in un certo senso di me ma anche di molte altre persone dentro un film per poi regalarla al pubblico; spero di esserci riuscito».

La protagonista di questo film è Carolina, una donna che non rispecchia i canoni imposti dalla società e quindi una donna libera. Cos’è la libertà per lei?

«Sono più che d’accordo che la mia protagonista sia una donna libera, in tutto, capace di ribellarsi ai canoni che la vorrebbero afflitta e disperata. Carolina è arrabbiata e sconvolta per un dolore che non arriva, o meglio che non riesce a esprimere, è ribelle, disincantata e reclama il diritto a stare male. È alla ricerca del sentimento che vorrebbe provare e che invece sembra essere scappato; soltanto riappropriandosi della propria emozione può essere libera di affrontarlo. Credo che la libertà sia un diritto sacrosanto di tutto ma ritengo sia anche un dovere andarsela a prendere quando qualcuno o qualcosa ce la toglie».

“Ride” non è soltanto un film sul dolore ma è anche un film sulla vita. È d’accordo?

«Assolutamente sì. Credo tuttavia che il dolore debba essere affrontato – ognuno a modo suo –, solo così poi riusciamo ad afferrare l’esistenza e a viverla intensamente. La più grande sfida che abbiamo è proprio quella di tuffarci dentro l’esistenza, non di limitarci a sopravvivere. Morire a una certa età è naturale, ma non è naturale invece venire a mancare sul posto di lavoro».

Affrontare il dolore in fasce d’età diverse, quella del bambino, dell’adulto e dell’anziano. Cosa li lega e cosa invece li separa?

«Ogni personaggio vive il dolore a suo modo, cercando di comprendere dentro di sé quale sia lo stato d’animo. Ci troviamo alla vigilia del funerale pubblico del ragazzo, morto sul posto di lavoro. Il più piccolo usa l’arma più potente che ha e che solo un bambino può utilizzare, ovvero la fantasia, Carolina è alla ricerca costante di scalfire la propria apparente freddezza e infine l’anziano mette in campo l’analisi della sua vita».

Perché ha scelto proprio Chiara Martegiani e Renato Carpentieri?

«Volevo creare un’omogeneità di naturalezza intorno a questo film; per Chiara è stato come una sorta di debutto per un film che aveva un tono diverso rispetto ai precedenti e Renato è uno degli attori più intensi e profondi che io conosca. Sono stato molto soddisfatto di aver portato nuovamente nel grande schermo Stefano Dionisi».

Cosa si augura arrivi a chi verrà a vedere il suo film?

«Spero venga recepita la sincerità con cui questa storia è raccontata, una storia che non chiede di fare compromessi a nessuno. Mi auguro arrivi quello che spero sempre di ricevere quando guardo un film, ovvero un’emozione e magari qualche parola da scambiare dopo la visione con qualcuno».

È difficile essere regista oggi?

«Assolutamente sì. Io sono fortunato perché ho fatto per diversi anni l’attore e sono riuscito a conoscere il mondo del cinema abbastanza bene. Penso a chi comincia e a tutte le difficoltà che può incontrare. A questi giovani sognatori del cinema posso dire che sulle difficoltà prevale sempre l’opera, quindi se qualcuno ha una bella storia da raccontare, farà un bel film e sicuramente continuerà la sua carriera».

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