Il maestro riminese Benzi: "Il Galli è una festa, ora puntiamo in alto"

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RIMINI. L’ Aroldo sarà la prima opera prodotta dal teatro Galli ricostruito. Si riparte da dove era iniziato tutto nel 1857, quando il lavoro di Giuseppe Verdi fu lo spettacolo di inaugurazione. Una scelta simbolica per sanare in modo definitivo quella ferita aperta con i bombardamenti della Seconda guerra mondiale che hanno privato i riminesi del loro teatro fino ai nostri giorni.

A guidare il progetto Manlio Benzi, il direttore d’orchestra riminese che venerdì 30 e sabato 1, assieme al Coro e all’Orchestra del Teatro Regio di Torino, proporrà un repertorio di Verdi e Wagner, due autori che hanno rivoluzionato la storia del teatro musicale.

Benzi, che cosa ha significato per lei il suo lavorare molto all’estero?

«Tutto è iniziato perché in Italia non c’erano tante possibilità e io, nel fare opera, avevo il vantaggio della mia “italianità”. Ma sin dall’inizio ho avuto quello stimolo di conoscere gente e posti nuovi che ancora mi accompagna. La cosa più bella del mio lavoro è proprio quella di incontrare e scoprire gente e paesi diversi anche e soprattutto nei posti che potremmo definire “periferici”».

Quali differenze ha trovato fra l’Italia e i paesi in cui ha lavorato?

«L’Italia, non è un mistero, è un paese strepitoso ma ha grossi problemi organizzativi. Nei paesi scandinavi, tedeschi o comunque anglosassoni, il lavoro è decisamente più semplice. Tutto è organizzato. Se devo andare in Svezia lo so tre anni prima. In Italia tre mesi prima è tutto da decidere... Una volta da Göteborg mi chiamarono per chiedermi se potevano spostare di un’ora una prova che si sarebbe dovuta tenere tre anni dopo!».

Alla luce del suo patrimonio di esperienze, dove si può collocare il nuovo teatro Galli per quanto riguarda la musica?

«Intanto si deve partire dal fatto che il Galli è stato riaperto ed è una cosa meravigliosa. A me vengono i brividi quando ci entro. Abbiamo un gioiello che è unico; dal punto di vista architettonico è paragonabile a pochi. Il futuro lo costruisci accettando una sfida che arriva dal passato. Nel teatro si possono fare tante cose ma è chiaro nasce per fare l’opera. Certo io non sono qui a dare nessuna ricetta. Come cittadino sento il momento profondo di una festa a cui, lo ammetto, non credevo. Mi potete dare anche dell’ingrato, ma non avevo speranze che il teatro venisse riaperto. Intanto godiamoci questa festa. Poi è chiaro che si deve pensare a cosa si deve fare e che il difficile verrà dal prossimo anno».

Non è facile però gestire un calendario operistico.

«Io credo che l’opera sia un genere di forma d’arte con delle potenzialità strepitose e sono convinto possa essere un luogo di crescita per le future generazioni. Al tempo stesso non posso negare che in questo momento ci sia una grossa difficoltà nel nostro paese e che l’opera sia un genere estremamente dispendioso in termini economici. Sì, è vero che Rimini ha annacquato le proprie radici, si è “imbastardita”, ma adesso è un qualcosa di unico, deve trasformare in forza quello che sembrerebbe essere una debolezza. Vedo con piacere poi che in questo suo esordio la città ha già puntato abbastanza in alto. Quello che si sta facendo in questi giorni (Bartoli, Gergiev...) non è quello che si fa in un qualsiasi teatro di provincia».

Quale può essere il segreto per una buona gestione?

«Rimini deve ambire a diventare un teatro di tradizione, un teatro che ha anche una sua capacità produttiva, anche se deve mettersi in coda perché siamo gli ultimi arrivati. Ma dobbiamo mantenere l’entusiasmo dell’inaugurazione e la consapevolezza di essere unici. Il pensare alto deve essere legato alla fantasia e alla capacità produttiva. La vera prova del nove sarà quando inizieremo a produrre. L’ambizione deve essere quella di produrre in modo visionario. Il vero banco di prova di queste considerazioni che faccio sarà l’Aroldo che faremo l’anno prossimo, a dicembre. Sarà la prima vera opera prodotta dal Galli, frutto di una collaborazione con il teatro Alighieri e l’Orchestra Cherubini di Ravenna. Il segreto sarà questo: calibrare bene il mix tra agganciarsi a “treni”, alle produzioni, che vanno già bene in Italia, prendendo il meglio, e nel frattempo mettere a punto una capacità produttiva. In questo si vedrà la capacità di avere una visione strategica... Si può pensare per esempio a qualcosa che si lega al mito di Paolo e Francesca».

Ha già avuto modo di vedere il lavoro fatto al Galli. Che cosa ne pensa?

«Molto bello e acusticamente mi sembra funzionare bene. Per avere un giudizio critico più ampio aspetto di vedere un’orchestra in buca. Fare un concerto lì, con la camera acustica che abbiamo, è un gran bel fare musica».

In tre aggettivi, come sarà il programma delle esibizioni di venerdì e sabato?

«È un programma intelligente, popolare e raffinato nello stesso tempo. Popolare perché ci sono pagine tra le più conosciute. I due autori, poi, Verdi e Wagner, rappresentano l’Ottocento musicale europeo, rappresentano le due anime complementari di fare opera. In poco più di un’ora si va al cuore del teatro musicale dell’Ottocento, l’epoca nella quale è nato il nostro teatro».

Quale opera le piacerebbe mettere in scena al Galli?

«L’Aroldo è di grande auspicio per continuare un cammino verdiano a Rimini. È l’autore che ha segnato la nascita del nostro teatro. Penso poi all’ultima opera fatta prima del bombardamento, la Madama Butterfly, che è anche quella che ha segnato la mia carriera, la prima e quella che ho diretto di più, quella che fa parte più del mio fisico e del mio corpo».

Che effetto le fa prepararsi per un concerto nella sua città?

«Credo che sarò molto emozionato. Come lo sono stato l’anno scorso quando ho ricevuto il Sigismondo d’oro. Un premio che non mi aspettavo; dentro di me neanche in maniera nascosta pensavo che Rimini mi dovesse qualcosa... E adesso mi trovo qua. Siamo in autunno e per la prima volta dopo tantissimo tempo mi trovo nella mia città. Per me è una cosa molto bella».

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