All’Alighieri di Ravenna sono tutti all’opera: Verdi non basta mai

Archivio

RAVENNA. Musicisti, cantanti, danzatori, figuranti e comparse, coristi, parrucchieri e sarte e truccatori, attrezzisti, tecnici e addetti vari – ai movimenti scenici, alle luci, alle proiezioni... responsabili e assistenti, esperti di lungo corso e giovani stagisti... Insomma un mondo, un’umanità intera che da oltre un mese si muove sul palcoscenico e tra le quinte (e non solo) del teatro Alighieri, mai come in questo periodo vera e propria “fabbrica dell’opera”. Perché, come oramai accade per il settimo anno, è di nuovo la volta della Trilogia d’autunno di Ravenna festival, che andrà in scena dal prossimo 23 novembre fino al 2 dicembre.

Era il 2012 quando, alle soglie del bicentenario verdiano, Cristina Mazzavillani Muti si lanciava nella regia di ben tre titoli, quelli della cosiddetta “trilogia popolare”, che si sarebbero avvicendati nel giro di pochi giorni sullo stesso palcoscenico secondo un nuovo, agile e ardito modello produttivo che nell’uso delle più innovative tecnologie aveva (e ancora ha) il suo punto di forza. Da allora l’appuntamento autunnale, oltre a ospitare i balletti del Mariinskij di San Pietroburgo e le operette dei teatri ungheresi, è divenuto il centro di una straordinaria attività produttiva e di sperimentazione: dallo Shakespeare verdiano alle opere di Puccini, anche rivisitate in chiave musical, fino al cuore dell’opera verista, Mascagni e Leoncavallo in versione integrale, ma anche offerti come banco di prova per le inedite incursioni di “giovani energie creative”.

Ora tocca di nuovo a lui, a Giuseppe Verdi. «Perché non basta mai! Perché – come scrive Cristina Muti ancora una volta anima instancabile e regista dell’intera trilogia – più affondi le mani nel suo teatro e più ti accorgi della sua grandezza. Perché continuando a mettere a confronto Verdi con Verdi, scopri che la sua linfa creativa si rinnova continuamente, che non c’è mai ripetizione. E che ogni sua opera è il segno e il frutto di un determinato periodo storico, di un particolare momento della sua vita». È per questo che la scelta di questa edizione della Trilogia d’autunno è caduta su tre opere che punteggiano tutto l’arco creativo del massimo compositore operistico italiano: Nabucco, Rigoletto e Otello. Dunque, dal titolo che nel 1841 segna il ritorno alle scene e il definitivo successo del Maestro – che si riprende dopo il fiasco di “Un giorno di regno” e i gravi lutti familiari -, all’amatissimo “gobbo”, Rigoletto, a detta del compositore il suo prediletto, del 1851, parte di quella trilogia popolare che lo consacrerà all’eternità; e infine alla maturità del soggetto shakespeariano, opera di un Verdi ben oltre i settant’anni, capace però di trasformare ancora una volta radicalmente il proprio linguaggio. «Rimanendo comunque sempre se stesso – sottolinea Cristina Muti mentre, durante le prove, sul palcoscenico fasci di luce bianca e tagliente solcano il nero su cui si dipana la tragedia di Otello – straordinario conoscitore dell’animo umano, del sarcasmo, dell’ironia, della crudeltà, della sofferenza... quella che ha sperimentato sulla sua pelle».

Infatti, secondo la regista, tutto il Verdi che verrà è già racchiuso in “Nabucco”, sia l’amore per la coralità che quello per il “personaggio” e non a caso sul palcoscenico dell’Alighieri tutto “germoglierà proprio da Nabucco e il suo impianto scenico diventa il cuore di tutti e tre gli allestimenti». Che comunque, sbirciando alle prove, rivelano ciascuno la propria originalità: del contrasto luci/buio di Otello si è detto, di Nabucco invece colpiscono il richiamo all’immaginario “biblico-archeologico” e la tinta mesopotamica, mentre con Rigoletto si entra nel cuore della corte mantovana, con i capolavori di Andrea Mantegna e Giulio Romano.

Universi scenografici che si susseguiranno e alterneranno una sera dopo l’altra, per ben tre repliche, e sui quali si muoveranno tre diversi cast di giovani cantanti sotto la direzione di tre diversi maestri, tutti però legati a Ravenna e al suo festival. Infatti, se a guidare l’Orchestra Cherubini in Nabucco sarà Pietro Borgonovo, protagonista della scena musicale contemporanea e già interprete su questo palcoscenico delle complesse partiture commissionate da Ravenna festival ad Adriano Guarnieri, la direzione di Otello toccherà all’esperienza di Nicola Paskovski e quella di Rigoletto al giovane iraniano Hossein Pishkar, allievo lo scorso anno dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti... sempre nel segno di una tradizione che, nella continuità di antichi e saldi saperi, sappia rinnovarsi.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui