«Ognuno ha un pezzo di responsabilità. O qualcun altro dovrà farlo al suo posto»

Sono quelle di Tutti i nomi del mondo (Mondadori), nuovo romanzo di Eraldo Affinati che il noto scrittore e insegnante romano presenterà per i “Nuovi confronti d’autunno” dedicati a tradizione, memoria, futuro, il 9 novembre alle 20.45 alla Sala Consiliare “Enrico De Giovanni” di Faenza. Introdurrà Daniele Morelli, presidente Associazione Romagna-Camaldoli.
Al centro il tema dell’istruzione e della conoscenza come possibilità di riscatto, argomento caro ad Affinati e già trattato in modo appassionato in vari libri.
Storie di riscatto
Dall’esperienza pedagogica in istituti professionali e alla Penny Wirton, la scuola da lui fondata a Roma e poi in varie altre città, frequentata da immigrati e ragazzi problematici, è nata l’idea di questo libro che raccoglie storie che sono espressione di una volontà di riscatto, e si mescolano a quelle di altri personaggi che appartengono alla vita passata di Affinati: i nonni, lo zio partigiano, gli amici di gioventù, gli ex allievi scomparsi nel nulla o finiti dall’altra parte del mondo, tutti idealmente ritrovati a raccontare in un simbolico raduno sul colle Oppio.
Affinati, come si riesce a insegnare, come diceva Gandhi, che si dovrebbe trattare chiunque s’incontra per la strada «come se fosse il tuo maestro»?
‹‹Questo mio ultimo romanzo è a ben pensare la risposta a tale domanda. Si tratta di un appello che un professore rivolge alle persone più significative della sua vita. Questo protagonista, accompagnato dal suo alunno preferito, Ottavio, il quale si esprime soltanto in dialetto romanesco, vorrebbe sapere la ragione per cui gli esseri umani si incontrano: esiste una legge che governa i casi? Oppure dobbiamo credere che il sentimento di amicizia fra le persone rappresenti soltanto l’effetto termico scaturito dallo sfregamento di due sassi? Ogni vero insegnante, su questo punto, non può non essere d’accordo con Gandhi››.
In che maniera la Penny Wirton si pone come il sogno di una ‹‹altra scuola››? Lei ha detto: ‹‹Io vorrei che le nostre parole fossero sempre legittimate a ciò che facciamo».
‹‹Le scuole Penny Wirton per l’insegnamento della lingua italiana agli immigrati sono concepite quali laboratori antropologici: uno a uno, senza classi, senza voti, senza burocrazie. I docenti sono spesso ragazzi italiani che insegnano ai loro coetanei meno fortunati. Attualmente il nostro stile educativo viene praticato in 36 città. In Romagna siamo presenti a Faenza e a Forlì. Si tratta del sogno di un’altra scuola perché ciò che più conta è lo sguardo autentico che scatta fra chi insegna e chi apprende. Le parole devono scaturire dalla nostra vita, altrimenti rischiano di essere sterili››.
Come si impara quindi a declinare in tal senso libertà, responsabilità, educazione, giustizia, valori etici, termini che oggi sembrano cadere sempre più in disuso come autentici valori per la vita?
«Ognuno ha un pezzetto di responsabilità. Se la disattende, qualcun altro, dopo di lui, alla distanza di una o due generazioni, dovrà metterci una pezza. Porre rimedio. Colmare questa lacuna. Mio nonno, Alfredo Cavina, partigiano della 36ª Brigata Garibaldi, fucilato dai nazisti a Pievequinta, sulla strada che da Forlì conduce a Cervia, sebbene io non l’abbia mai conosciuto, mi ha insegnato un concetto di responsabilità molto più ampio di quello giuridico. Ho recuperato la sua figura in Tutti i nomi del mondo, nel capitolo intitolato “Gavina”. Per contromisura. Se vedi l’oltraggio di un principio in cui credi, devi intervenire. Anche se questo ti può mettere a rischio››.