Il rito è compiuto: il Galli risorge dopo 75 anni

Rimini

RIMINI. C’è un attimo di silenzio prima che tutto cominci. A trattenere il fiato è una intera città. È solo un secondo, impercettibile. Tra paura ed eccitazione la differenza non è poi molta. Andrà tutto bene? Come sarà l’acustica? Si starà comodi in poltrona? Che diranno i loggionisti? E dai palchi come si vedrà?

Settantacinque anni – tanti ne sono passati dalla bomba del 28 dicembre 1943 – di una attesa convulsa, complicata, fatta di soste e ripartenze, con tanti protagonisti, a volte alleati, a volte contrapposti (il progetto Natalini licenziato dal sindaco Chicchi contro quello “comerista” sponsorizzato da Ravaioli). Ma è solo un singhiozzo, un nonnulla: come capita agli artisti subito prima di andare in scena, nascosti dietro le quinte, con quel groviglio nello stomaco fatto d’ansia e adrenalina. Poi si apre il sipario, e si va a incominciare.

Sono le 20 in punto: sul palco del Teatro Amintore Galli, che questa sera riapre, sale Luciano Bagli, nato sotto le bombe in quel 28 ottobre ‘43. È un inizio spiazzante, privo d’enfasi ma pieno di pathos, che fa alzare gli occhi al cielo, a quella volta squarciata, come la città, e ora ricostruita, come la città. Bagli esce, ed entra il sindaco Andrea Grassi, in smoking nero e papillon, stavolta parecchio emozionato pure lui: la voce gli si spezza in più occasioni. Poche parole e un colpo di teatro che scatena l’applauso del pubblico, quando dal fondo del palcoscenico d’improvviso si alza la saracinesca e si apre la grande finestra che inquadra Castel Sismondo, in un rimando davvero unico tra Ottocento e Quattrocento. Tra una citazione di Calvino e una di Fellini, in quello che Gnassi definisce «il romanzo del Galli», ci sta pure un ringraziamento alle amministrazioni che lo hanno preceduto, e a tutti quelli, tanti, che al Galli ci lavorano e ci hanno lavorato. È una macchina complessa, costosa, servirà tempo, serviranno cure.

Questa è una fine e un inizio.

Alle 20.23 il sipario si riapre ed entrano in abito nero i Musiciens du Prince di Monaco con il coro maschile dell’Opéra di Monte-Carlo che sembra uscito da un quadro di Magritte; si accordano gli strumenti, quindi il direttore Gianluca Capuano sale sul podio. Partono le note della Cenerentola di Rossini, e i 75 travagliati anni sono già dimenticati.

Eccolo qua, il teatro: vive, canta, suona, respira. A celebrarne il battesimo è stata chiamata una superstar, Cecilia Bartoli, mezzosoprano che veste i panni di Angelina. Il padre era di Vergiano, e nelle prime file siedono amici e parenti. Con lei Edgardo Rocha (Don Ramiro), Alessandro Corbelli (Dandini), Carlos Chausson (Don Magnifico). Un cast degno di questa magnifica apertura. L’acustica «brilla» davvero, come ebbe a dire la stessa Bartoli, la visuale è quella di un teatro all’italiana, ma gli «oh!» all’ingresso si sprecano. È un teatro sborone che piace ai riminesi.

Lei, generosa, a fine serata esce pure a salutare la piazza che l’ha attesa a lungo e celebrato, anche davanti al maxi schermo, questa festa popolare.

Il pubblico (c’è chi arriva dal Canada), elegante e un po’ commosso, non lesina gli applausi: agli artisti, certo, ma anche a un teatro che non c’era, e adesso c’è. E non sono i palchi, o gli stucchi dorati. E neppure le tappezzerie in raso di seta. Non sono le poltrone o le assi del palcoscenico. No, è il vibrare della musica, è la celebrazione di un rito. Così, il Teatro Galli di Rimini non è nato questa sera, ma in questi lunghi anni di attesa. Nelle notti col dj in mezzo a un cantiere. Nelle discussioni infinite tra funzionalità e decoro, tra terzo millennio e XIX secolo, che adesso poi non importa più chi abbia vinto, perché, comunque, non ha perso nessuno. Il Teatro adesso è qui («com’è e come sarà» dice Gnassi); manca ancora qualche rifinitura, dietro gli angoli a guardar bene ci sono secchi di vernice, ma poco importa davvero. Il Teatro è ufficialmente tornato quando i riminesi si sono messi in fila, pazienti, in cerca di un biglietto. Quando hanno versato poche o tante decine di euro per sostenerlo. Quando hanno capito che da adesso in poi, la città non sarà più la stessa. Sipario. Applausi. Applausi. Applausi. Il rito è compiuto.

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