Jovanotti: «La poesia è la parola vestita a festa, ci rende più umani»

Rimini

CESENA. Non sarà stata la prima della Scala, ma il debutto di Lorenzo Jovanotti Cherubini ieri nell’ottocentesco teatro Bonci di Cesena è stata comunque «una libidine e una rivoluzione». Lo è stata anche per Mariangela Gualtieri che, per la prima volta, si è trovata a dialogare di poesia con una star social oltreché musicale da 2 milioni e mezzo di contatti. Lo è stata per la Valdoca che ha trovato un’occasione di porgere, anche a una platea giovane e abituata alla velocità della Rete, gli ideali di umanità che accompagnano la bella rassegna Ciò che ci rende umani; ma è stata «una libidine e una rivoluzione» soprattutto per la poesia in versione 4.0, capace di conquistare il pubblico con versi lirici – quelli di Mariangela – e rap – quelli di Jova, accompagnati dalle note di una chitarra, con l’unico intento di «celebrarti o vita».

Jova l’aveva annunciato giovedì: «Ho accettato subito perché sono un lettore delle poesie di Mariangela Gualtieri da anni; lei scrive poesia vera, quella che quando la leggi hai le vertigini. Quella che ti parla come una voce che non sai da dove arriva eppure ha il suono della tua stessa voce».

La possibilità di dichiararlo in un antico teatro all’italiana ha fatto la differenza, facendogli accettare l’invito.

L’incontro

Prima ancora di un Bonci sold out da venerdì, l’attesa comincia fuori dal teatro, con decine di fan e curiosi a caccia di selfie. Jova arriva alle 17.15, due dei suoi lunghi passi e subito si infila nel grande portone sul retro che porta sul palco: «Ciao ragazzi!» e poi via il sound check. Alle 18.10 un tifo da stadio lo accoglie sul palco; è un gigante vicino a Mariangela, elegante in blu con l’immancabile cappellino. Ringrazia il prof che al liceo gli fece scoprire la poesia italiana contemporanea, «così quando ho pensato di pubblicare una rivista culturale, provocando uno choc alla casa editrice, ho chiesto anche una tua poesia. Se posso fungere da cavallo di Troia per la poesia sono davvero felice perché per me è la cosa più importante, ha una forza propulsiva, un rigore ancestrale... con la poesia l’uomo può entrare in contatto con la creazione».

Aggiunge Mariangela: «Quando recito ho l’impressione di dare la tetta a corpi denutriti. La poesia è ciò che nutre quel pezzo di brace cosmica, mi piace pensarla come una gazzella che mi salta sul petto». «Sul palco porto in scena la negazione del silenzio – dice Lorenzo –, mi piace la velocità, mi sento a mio agio nel volume molto alto, fuori però sono molto silenzioso, quasi all’opposto». E ancora: «Sono affascinato Mariangela dal tuo ritmo, tu non utilizzi la metrica mentre le mie canzoni iniziano da lì. Ti faccio un esempio: mi invento una melodia da una tua poesia». E alla chitarra da Giuramenti canta Appello mondiale: «io con un bacio rifondo un cielo, un azzurro che solleva popoli, foreste intere…».

Sembra uno chansonnier. Il teatro è quasi attonito, in ascolto. «La poesia è tessitura fra parola e silenzio, invece la canzone non contempla il silenzio». «Io e te viviamo la parola in due mondi diversi – dice Mariangela –, io in una roulotte tu in un castello».

C’è spazio anche per i ricordi romagnoli di Lorenzo: «Quando vivevo a Forlì e andavo in una trattoria mi dicevano che Dante veniva a cavalcare qua da queste parti, lo sapevate?». Il pubblico ride, è conquistato. Lui canta ancora Ragazzini x strada, lei risponde con il Cantico di frate sole. «È stato bellissimo Mariangela! Avremmo potuto conoscerci in una osteria, invece, ci siamo incontrati qui, con il pubblico». Applausi. Luci accese: «Come siete belli! Mariangela vieni a vedere come sono belli!».

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