«Non avrei mai voluto lasciare il ruolo di Cucchi ad altri»

Rimini

RICCIONE. Una vita spezzata troppo presto, un volto e un corpo martoriati da lividi e percosse, e il desiderio di strappare quel giovane dalla drammatica fissità delle terribili foto che chiunque ha avuto modo di vedere rimanendo basito. Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, presentato nella sezione Orizzonti alla 75ª Mostra internazionale del cinema di Venezia, racconta gli ultimi sette giorni di vita di Stefano Cucchi, un giovane trentenne che nella notte del 15 ottobre 2009 entra in carcere sulle sue gambe, dopo essere stato fermato dai carabinieri con 20 grammi di fumo, due dosi di cocaina e 2 pasticche di Rivotril, per poi uscirne una settimana dopo senza vita, picchiato e abbandonato su una lastra di marmo.

Alessandro Borghi è Cucchi

A prestare anima e corpo al ragazzo è un ipnotico Alessandro Borghi, volto molto amato dalla critica che il pubblico ha già avuto modo di apprezzare in ruoli che l’hanno messo in evidenza. Ha infatti partecipato a Non essere cattivo di Claudio Caligari vestendo il ruolo del protagonista, pellicola selezionata dall’Italia come film straniero candidato agli Oscar 2016; è stata poi la volta di Suburra di Stefano Sollima che ha raccontato il malaffare nella Capitale. Ha preso parte anche a Fortunata di Sergio Castellitto, The Place di Paolo Genovese e Napoli velata di Ferzan Ozpetek.

Questa sera alle 20.30 Borghi sarà ospite al Cinepalace di Riccione con Sulla mia pelle, una delle sue prove più difficili, per la quale ha dovuto perdere chili, leggere tutte le carte processuali e parlare a lungo con la famiglia di Stefano. Un lavoro duro mirato a far comprendere al pubblico quello che accadde in quei giorni. E Borghi è stato in grado di farlo. Il film viene proposto anche al Settebello e al Multiplex di Rimini, all’Eliseo di Cesena, al Sarti di Faenza e al Jolly di Ravenna. Ne parliamo con il protagonista.

Borghi, lei porta sullo schermo una delle vicende più delicate e agghiaccianti di questi ultimi anni. Perché ha detto sì a questo film?

«Per lo stesso motivo per il quale stavo per dire no. Quella di Stefano è una storia che mi ha toccato molto, che ho sempre seguito sin dal principio, mai avrei pensato di recitare in un film di questo tipo. Quando Sulla mia pelle mi è stato proposto, ero molto spaventato, soprattutto perché pensavo che il mio coinvolgimento emotivo potesse esser un motivo disturbante. Ho capito poi che il mio interesse nel far sì che questa triste storia diventasse di dominio pubblico, aldilà della cronaca, era più forte di qualsiasi altra cosa; ecco che ho deciso di dire sì: non avrei sopportato che un altro potesse farlo al posto mio».

Questo non è un ruolo come gli altri perché c’è una responsabilità civile nell'interpretare questo personaggio. Quanto ha contato e pesato questo aspetto?

«Il peso che ho sentito sulle mie spalle è stato quello di restituire una dignità all’immagine di questo giovane; molto spesso è stata data solo una versione e ho ritenuto opportuno che gli fosse restituita quella dignità umana che gli era stata tolta dai più. Non ho mai avvertito un dovere civile nei confronti di questo film, bensì l’infinito bisogno che su questa storia si dovesse riflettere».

Chi è per lei Stefano Cucchi?

«È uno dei pensieri fissi delle mie giornate e il film è una buona occasione per contribuire a far sì che episodi come questo non accadano mai più. Quello che è accaduto a Stefano Cucchi potrebbe accadere a chiunque di noi, a un nostro amico, a un nostro familiare o anche a noi stessi. L’ho sempre visto come mio cugino, come mio fratello, come un ragazzo che aveva fatto degli errori che gli sono costati molto più di quello che avrebbero dovuto».

“Sulla mia pelle” sembra essere uno specchio di alcuni problemi che continuano a esistere nel nostro Paese, quasi tutti legati al giudizio facile e all’abitudine di puntare il dito. È d’accordo?

«Assolutamente sì. Uno dei più gravi problemi di questa nostra Italia è quella forma mentis che spinge alcune persone a sentirsi migliori di altre. Più andiamo avanti e più la situazione si complicherà fino a farci entrare in un baratro senza fine e senza via d’uscita. Oggi i social network non ci aiutano perché danno a tutti la possibilità di puntare il dito contro qualcuno senza metterci la propria faccia, che è esattamente quello che non mi è stato insegnato. Ognuno di noi dovrebbe comprendere che la vera libertà dell’esistenza è proprio quella di avere una propria opinione e di sostenerla, anche contro tutto e tutti se necessario. Non dovremmo mai avere la presunzione di etichettare qualcuno, e la storia di Stefano ne è un esempio lampante; se non fosse stato un tossicodipendente non sarebbe morto, perché ha avuto un trattamento “da drogato” secondo i canoni di questa società che non sono giusti».

«La coscienza non dimentica» canta Fabrizio Moro in “Fermi con le mani” dedicata a Stefano Cucchi, ma cosa secondo lei non si dovrebbe mai dimenticare di Stefano?

«È una frase bellissima che non tutti hanno avuto il coraggio di gridare, cosa che invece Moro continua a fare per restituire dignità a un giovane la cui vita è stata spezzata troppo presto. “La coscienza non dimentica” e non dovrebbe mai dimenticare, ma il problema è che troppo spesso non la sappiamo ascoltare. La canzone di Fabrizio Moro e Sulla mia pelle dovrebbero funzionare come interruttori per far sì che la nostra onestà non ci abbandoni mai, ricordandoci qual è la strada migliore da percorrere. Il compito della musica, della letteratura, del teatro e del cinema è proprio questo, ovvero quello di farci cambiare, ascoltandoci prima che sia troppo tardi».

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