In mostra l’America precolombiana vista con gli occhi dei vinti

Rimini

FAENZA. “Aztechi, Maya, Inca e le culture dell’antica America”: una visione allargata dell’America precolombiana e una sintesi dei tratti panamericani comuni. La mostra – a cura di Antonio Aimi e Antonio Guarnotta – si terrà al Mic di Faenza dall’11 novembre al 28 aprile e «sarà orgogliosamente controcorrente» sottolinea la direttrice Claudia Casali, in un periodo in cui si tende spesso a mettere a fuoco una singola cultura. A Faenza si parte dalle ricerche archeologiche ed etnostoriche più recenti e avanzate. E lo fa attingendo alle notevoli collezioni del Mic, perlopiù con pezzi mai esposti al pubblico. A completare il percorso, reperti concessi dai più importanti musei e raccolte italiane. «Una mostra di emozioni – dice Casali – che condurrà il visitatore a contatto diretto con civiltà che sono nell’immaginario di tutti, troppo spesso raccontate solo con gli occhi di chi le ha soppresse e depredate».

Protagonisti saranno gli Aztechi, il più potente impero della Mesoamerica, che stupirono i conquistadores per il livello della loro organizzazione sociale, non dissimile da quella dell’Europa del tempo, pur in presenza di aspetti, come il cannibalismo e i sacrifici umani, inaccettabili per i nuovi arrivati. Poi i Maya, del Periodo Classico, un popolo che ha saputo elaborare sistemi calendariali raffinatissimi e una scrittura logo-sillabica decifrata solo negli ultimi decenni. E infine gli Inca, che costruirono il più grande impero di tutto il Nuovo Mondo. Con una organizzazione sociale che ha spinto alcuni studiosi a parlare di “socialismo”. «Una visione – dicono i curatori – che va oltre l’ammirazione del livello artistico raggiunto nell’arte ceramica. Siamo alle soglie del V centenario della conquista del Messico e ci sembra giunto il momento di condividere una nuova lettura di quell’evento, che nasca dalla visione dei vinti, contraddicendo così molti stereotipi sull’antica America. E a proposito di stereotipi, vogliamo sottolineare che la nostra mostra mette in evidenza un dato nuovo e di grande attualità: che la condizione della donna in alcune società guerriere e apparentemente maschiliste era migliore di quella dell’Europa del tempo».

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