«Sono l’ultimo difensore del libro contro l’orda digitale»

Rimini

Giornalista e scrittore, polemista e critico, opinionista notissimo anche del piccolo schermo, Giampiero Mughini ha raccontato – in opere come La collezione, La stanza dei libri. Come vivere felici senza Facebook Instagram e followers o Che profumo quei libri. La biblioteca ideale di un figlio del Novecento – l’amore incondizionato per il libro come oggetto e simbolo unico d’arte, bellezza, desiderio.

“Sono l’ultimo difensore del libro contro l’orda digitale” s’intitola pertanto il dialogo con lo scrittore su bibliomania, donne e Sessantotto, con cui si aprirà il 7 settembre alle 18 al Museo della Città, con il patrocinio dell’assessorato comunale alle Arti, il primo degli appuntamenti di Hybris. Discorsi sulla tracotanza e sul tramonto. Quattro incontri per capire chi siamo e dove andiamo e perché il tempo presente sembra dominato da tracotanza, eccesso, prevaricazione, superbia.

Mughini, lei ha dichiarato di considerare una battaglia perduta quella del libro di carta contro ‹‹l’armata digitale››, eppure è un battaglia che vale la pena combattere. Perché?

‹‹Purtroppo c’è stato uno spezzamento nella continuità delle generazioni. La mia era stata allevata dentro la stampa, con la stampa, nella stampa. Il libro era sovrano della nostra vita così come delle relazioni, e anche a vent’anni era argomento delle nostre conversazioni. Oggi i libri sono come scomparsi dall’orizzonte della nostra vita. Non si vede un libro, ad esempio, in nessuna serie televisiva. Questo rende difficile anche la tenuta civile e democratica di un Paese che ormai sembra basato sui tweet… che impoverisce sempre più di linfa spirituale.. e lo stesso vale anche per i giornali. La gente sembra preferire altri strumenti di informazione, ma credo che non sia facile sostituire la lettura, quell’approfondimento attento di un grande quotidiano… Scorrere le righe sullo schermo non è la stessa cosa. Non avremmo allora la classe politica che abbiano al governo... ››.

Se io fossi al posto delle “Iene” che furoreggiano in televisione, ha detto, la cosa che farei è di piombare inaspettato nelle case degli uomini politici a curiosare fra i loro libri, ammesso che ce ne siano.

‹‹Mi incuriosirebbe proprio vedere quali libri… forse solo best seller o quello di Elena Ferrante o forse nemmeno quello… E così temo sia per la maggior parte degli utenti dei social. Dei primi cinquanta libri ora in testa alle classifiche io non ne ho letto nemmeno uno... eppure leggo un libro ogni due giorni. Ora sto leggendo Molière, Tartuffe, da fare accapponare la pelle… Io amo leggere, non possedere libri››.

Campana, Serra, Pascoli

Ventimila libri, di cui duemila molto rari, fanno parte della sua collezione di volumi impossibili nella sua casa romana: edizioni uniche, cataloghi introvabili. È la sua biblioteca personale e insieme una possibile lettura del Novecento. Tra essi Mughini indica la predilezione per grandi autori romagnoli, come per la prima edizione dei Canti orfici (1914) di Dino Campana, o la prima edizione dell’ungarettiano Il porto sepolto: «Liriche scritte in trincea e lette dal tenente Renato Serra, appassionato estimatore del giovanissimo Ungaretti»; e poi Myricae, «quel libro piccino piccino di Giovanni Pascoli da cui sgorga la grande poesia italiana del Novecento».

Altro argomento: il Sessantotto e i suoi cambiamenti descritti in “Sex revolution” e in vari altri scritti. «Caddero i tabù», lei ha sottolineato, evidenziando anche come la società italiana di quegli anni sia ‹‹lontana dall’oggi come gli etruschi».

‹‹Quello che oggi è sicuro è che viviamo un tempo senza memoria, i ragazzi pensano che vada bene così, vivere in “questo” momento, e solo per ciò che “mi serve” in questo momento. Non è che c’è una “presunta apocalisse” all’orizzonte. L’apocalisse c’è già stata. I ragazzi di vent’anni trascorrono 4-5 ore al giorno chini su un telefonino, e mai una volta ho visto un ragazzo di vent’anni all’edicola cui vado al mattino a comprarvi i cinque quotidiani che leggo. I libri ci sono e ci saranno sempre. Purtroppo non sono più al centro della nostra vita e delle nostre usanze quotidiane e meno che mai al vertice della comunicazione diffusa. Se durante una trasmissione televisiva, pronuncio il titolo di un libro vedo il volto del conduttore impallidire››.

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