Lindsay Kemp, Fellini e il sogno del film che non si fece mai

Rimini

RIMINI. Ha studiato e praticato ogni genere di arte, dalla danza classica a quella moderna, dal cabaret al rock, dal teatro d’avanguardia al cinema al mimo. Anche la Romagna piange il grandissimo Lindsay Kemp, il coreografo, attore, ballerino, mimo e regista britannico morto a Livorno, dove viveva, all’età di 80 anni.

Fu al teatro Novelli di Rimini con Dreamdances nel novembre 2000. In quell’occasione dichiarò di avere visto tutti i film di Federico Fellini «uno di seguito all’altro». Fu amico del regista riminese e di Giulietta Masina fin dal 1966, un fan a sua volta amatissimo per il suo teatro così originale dalle valenze appassionate e oniriche. C’era anche l’idea di girare un film insieme. Raccontava che Fellini lo avrebbe voluto in Casanova. E proprio a Fellini Kemp dedicò, traendone ispirazione, la ballata di Rosa e Nino dalle surreali atmosfere circensi, uno dei brani di Dreamdances. «Il mondo del piccolo circo mi ha sempre affascinato – raccontò Kemp nell’occasione – ed è anche questo che mi lega a Fellini. Ricordo poi quando Giulietta, dopo aver assistito a Nijinsky, venne in camerino da me con le lacrime agli occhi per quanto le era piaciuto il mio spettacolo». Alla domanda su quale film di Fellini l’avesse colpito maggiormente rispose: «Le notti di Cabiria e La strada». «L’Italia – aggiunse – è la mia seconda casa. Sono venuto tante volte e credo che il pubblico mi ami. C’è un feeling che ho ritrovato simile solo in Giappone».

In una lontana estate di Cesenatico, negli anni d’oro di Ribaltamarea, Lindsay presentò il suo Midsummer night’s dream: delizioso, irresistibile, sembrava entrare nel “sogno” shakespeariano. Al Bonci di Cesena invece nel 1990 portò la sua Alice. Si presentò in un vecchio bar (oggi Zampanò) per raccontarne davanti a un caffè.

Molti anni dopo, luglio 2011, fu Micha van Hoecke a riportarlo in scena a Ravenna festival in Pathos ispirato al dramma Le troiane. Gli affidò il ruolo di Ecuba. Perché, chiedemmo a Micha, ha voluto Kemp come Ecuba? «Ho concepito questo spettacolo non come racconto, ma come un dipinto – rispose –. Lindsay Kemp rappresenta Ecuba senza esserlo; è la visione, l’immagine di questo dolore. Ho voluto lui perché più di altri esprime per me il gesto. Funge da tramite, da un mondo all’altro. Nessuno più di Lindsay è artista che sa esprimere la tragedia».

Nel dicembre dello stesso anno Kemp fu ancora all’Alighieri dirigendo Le maschere di Mascagni a un secolo dalla prima esecuzione.

Con l’ingenuità di un bambino e la perizia di un uomo da palcoscenico, Kemp ha saputo incantare il pubblico come pochi altri, e di questo gli siamo grati.

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