Avvicinare allievi e pubblico al mistero verdiano: il sogno di Muti

Rimini

RAVENNA. Un po’ come quando dirige. Riccardo Muti non ama i preamboli, entra senza perder tempo, in medias res, nel cuore delle cose: ed è così che un paio di settimane fa ha dato inizio alla quarta edizione della sua Italian Opera Academy – che si chiude con i concerti di questa sera e del prossimo venerdì al teatro Alighieri – dedicata a Macbeth, dunque, ancora una volta a Giuseppe Verdi. Il maestro parte da quelli che sono il fulcro del progetto, i giovani allievi, i fortunati selezionati tra le centinaia di domande arrivate: li chiama uno per uno. Prima i direttori: tre arrivano dagli States (Wilbur Lin, ma anche Alvin Ho e John Lidfors nati rispettivamente a Hong Kong e in Germania), uno invece (Aleksandr Poliykov), niente accade mai per caso, dall’Ucraina, il paese in cui poche settimane fa lo stesso Muti è approdato lungo le Vie dell’amicizia. Ci tiene il maestro a precisare che si tratta di direttori di un livello altissimo, più delle scorse edizioni, «segno che qualcosa di positivo nel mondo si sta muovendo». Passa poi ai maestri collaboratori «figure non meno importanti»: qui sono gli italiani a farla da padroni, tre su quattro, Alessandro Boeri, Andrea Chinaglia, Luca Spinosa, cui si unisce una giovane coreana Jeong Jieun. È con loro al pianoforte che si impostano le voci, che si dà sostanza musicale e teatrale ai personaggi interpretati dai cantanti: a “servire” l’Accademia sono chiamati in parte gli stessi che poche settimane fa hanno interpretato proprio Macbeth sotto la sua direzione, a Ravenna festival, con i complessi del Maggio Musicale Fiorentino – Victoria Yeo nei panni della Lady, Riccardo Zanellato in quelli di Banco e Antonella Carpenito come dama della Lady, a cui si aggiungono le “nuove” presenze del baritono incaricato del ruolo del titolo, Serban Vasile, che incontra Muti per la prima volta proprio su questo palco, e il giovane tenore dal nome “impegnativo” Giuseppe Distefano.

Sono trascorse, insieme a tutti loro, quasi due settimane di lavoro intensissimo: a tu per tu con le singole voci, insieme all’orchestra, insieme al coro, soppesando ogni singolo suono, ogni gesto, ogni intenzione, cercando sempre di “onorare” il compositore, di capire il suo volere e rispettarne il dettato: in un passaggio di saperi che, come sempre quando a “insegnare” è Riccardo Muti, non si esaurisce in semplici indicazioni tecniche, ma si esprime nel rovello della “comprensione”, nel trasmettere la consapevolezza di come suono e parola si compenetrino nella complessità di una vera e propria drammaturgia musicale. Perché domani toccherà a questi giovani direttori restituire all’opera italiana la dignità e la raffinatezza che una malintesa “tradizione” interpretativa ha cancellate. Una battaglia che Riccardo Muti combatte da decenni, e in particolare riguardo a Macbeth, da quando, a Firenze nel 1975, l’ha diretta per la prima volta. Forse è il titolo che ha diretto di più, ma di fronte al quale continua a interrogarsi. Ed è al mistero verdiano che cerca di avvicinare i giovani allievi, e anche il pubblico che assiste alle sue lezioni come si assiste a uno spettacolo, al rivelarsi di un mondo, insospettato. Fin dalla prima introduzione all’opera, quando anche quelli che sembrerebbero semplici “cenni storici” nell’eloquio di Muti – e nelle parole di Verdi, alle cui lettere e scritti il maestro sempre attinge – si trasformano in narrazione e al tempo stesso in vera e propria analisi: «Perché il Macbeth debutta non alla Scala per cui Verdi aveva già scritto, ma nel più marginale teatro della Pergola a Firenze?». Ecco per esempio la prima osservazione di Muti. La risposta è nella lettera che il compositore invia a Giovanni Ricordi: approva il contratto che gli viene proposto per questa opera, ma a condizione che non ne venga consentita la rappresentazione nel teatro milanese perché, dice, in quel teatro non possono o non vogliono curare la messinscena delle sue opere... A Firenze, invece, può lavorare più serenamente, sperimentare una concezione “modernissima” dell’uso delle voci, scelte e plasmate in modo quasi “espressionista”, conquistando un successo straordinario: «Alla prima fu chiamato alla ribalta per ben 27 volte». Un canto che sfocia nel declamato, basta leggere le indicazioni in partitura, ricorda Muti: «senza suono», «voce muta», «voce repressa». Appunto, il mistero verdiano. Che Muti apre ai giovani interpreti, con la passione di chi non smette di imparare: «Da questi ragazzi ricevo molto, proposte, intuizioni... perché in un terreno vergine i fiori possono nascere in maniera inaspettata». Fiori che si potranno ascoltare questa sera, diretti da Muti sul podio della Cherubini con il Coro Costanzo Porta, e venerdì sempre al teatro Alighieri – stessi brani scelti da Macbeth ma affidati agli allievi direttori.

Ore 20.30. Info: 0544 249244

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