«Essere donna è entusiasmante, siamo il motore del cambiamento»

Rimini

RICCIONE. Occhi chiari, un sorriso che conquista e un viso d’angelo, delicata ma solo apparentemente. Cristiana Capotondi è infatti una donna forte e molto impegnata nel mestiere che ha scelto fin da quando era bambina.

Oggi l’attrice romana sarà ospite di Cine@donna, il festival cinematografico di Riccione dedicato al cinema al femminile. L’interprete sarà presente all’incontro-aperitivo sulla terrazza dell’Hotel Atlantic alle 18.30.

La serata proseguirà al Cinepalace alle 20.30 con la proiezione di The Post di Steven Spielberg con Meryl Streep nei panni di Katharine “Kay” Graham, l’editrice del Washington Post che – contro il parere di tutti gli uomini potenti che la consigliavano – ebbe il coraggio di opporsi al potere vero arrivando così a far cadere il presidente Nixon.

Con l’affascinante attrice abbiamo ripercorso alcune delle sue più belle interpretazioni.

Chi è Cristiana Capotondi oggi?

«È difficile da dire. Credo di essere la stessa donna di sempre, nonostante io sia cresciuta molto: ho sempre quell’incontenibile fame di vita che mi spinge ogni giorno alla ricerca di nuove esperienze da vivere sino in fondo. Sono sempre mossa una grande curiosità nei confronti del mondo che mi circonda. Sono la stessa persona, ma con un abito diverso».

Esordisce molto giovane davanti alla macchina da presa. Cosa significa essere attrice nel 2018?

«Secondo me, vuol dire avere molte responsabilità. Questo mestiere dà la possibilità di parlare con moltissime persone e permette a noi che tentiamo di far parte del mondo del difficile mondo dello spettacolo di essere punti di riferimento per loro. Ogni interprete dovrebbe condividere dei valori con gli altri».

Com’è nata questa passione?

«L’avevo sin da piccola. Con le mie compagne di scuola organizzavamo in casa recite di testi teatrali scritti da noi, momenti di grande divertimento che si ripetevano per le recite di Natale e per quelle che venivano organizzate nei boy scout».

Oggi sarà ospite di Cine@donna. È difficile essere donna nel periodo che stiamo vivendo?

«Non credo che sia difficile, ma ritengo sia piuttosto entusiasmante. Nel corso dei decenni, le donne hanno cambiato pelle di continuo e non penso smetteranno. Siamo e dobbiamo essere le protagoniste della nostra vita, oltre che essere il motore del cambiamento».

Sono tantissimi i ruoli che ha interpretato, l’ultimo è “Nome di donna” di Marco Tullio Giordana. Nina che tipo di donna è?

«Nina è una giovane mamma che deve affrontare una battaglia in solitudine e rompe il muro di silenzio rispetto a molte sue colleghe decidendo di denunciare».

Recentemente l’abbiamo vista in “Renata Fonte. Liberi sognatori”, una donna che ha combattuto fino in fondo. Oggi cosa vuol dire essere liberi e anche sognatori?

«Non esiste vita senza libertà, e senza quest’ultima di conseguenza non esisterebbe neanche la possibilità di sognare. Credo che ci si debba muovere con la consapevolezza di sapere cosa ci circonda ed essere anche un po’ strategici».

Un altro suo ruolo molto significativo è stato quello interpretato nel film di “Di padre in figlia” di Riccardo Milani in cui si parla di emancipazione femminile nella storia della famiglia veneta Franza. Si è riconosciuta in questo ruolo?

«Assolutamente sì, soprattutto nella rivoluzione pacifica per cercare il proprio posto nel mondo. Maria Teresa è una donna piena di sorprese perché riesce ad immaginarsi nella dimensione di donna moderna quando per esempio all’universo femminile non era concesso pensare ad una realizzazione professionale e impone questa sua volontà di emergere a una famiglia molto tradizionale qual è quella dei Franza».

Una sua interpretazione eccezionale è stata quella in “Io ci sono” in cui vestiva i panni di Lucia Annibali. Cos’è per lei l’amore e il non amore?

«L’amore è il desiderio di vedere la persona amata realizzarsi, mentre il non amore è possesso. “Io ci sono” è un film sulla rinascita e sulla straordinaria capacità di tirare fuori la propria forza interiore, nonostante l’atrocità subita».

Quella di Lucia Annibali è una storia di una violenza inaudita, purtroppo molte donne non trovano la forza di denunciare. Cosa deve e dovrebbe essere il coraggio?

«Credo sia la forza d’animo di interrompere quelle dinamiche prima che si compia violenza».

L’abbiamo vista affiancare Mariangela Melato e Alessio Boni in “Rebecca, la prima moglie”. Possiamo dire che Jennifer, il suo personaggio, ha un’evoluzione?

«Sì, è proprio così. Jennifer è una donna apparentemente debole perché riesce a trasformare l’ossessione imposta dal personaggio di Melato in una forza incredibile per salvare il matrimonio con l’uomo che ama che ha il volto di Boni».

È stata anche sul set la compagna di Pif nel suo esordio alla regia in “La mafia uccide solo d’estate”. Secondo lei, cosa si potrebbe e dovrebbe fare per vincere la mafia?

«Credo che per comprendere al meglio la straordinaria capacità che ha avuto Pierfrancesco nel raccontare cosa sia realmente la criminalità organizzata nel suo primo film si debba prestare molta attenzione alla sua seconda fatica, ovvero “In guerra per amore”. A volte la realtà delle cose è sotto i nostri occhi ma non riusciamo molto spesso a vederla».

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