Le strade giuste erano occupate e io ho preso la strada sbagliata

Rimini

CESENA. È da pochi giorni nelle librerie italiane “Storia perfetta dell’errore” (Rizzoli) sesta fatica letteraria di Roberto Mercadini, romanzo d’esordio di questo originale autore-narratore.

Mercadini presenta il libro questa sera alle 21.15 nel chiostro di San Francesco di Cesena, ospite della rassegna “La bellezza delle parole” di Emiliano Visconti. Poeta parlante (così si definisce) di Sala di Cesenatico, classe 1978, da quasi vent’anni affascina con monologhi che mescolano passione per la conoscenza a vis affabulatoria, in grado di catturare ogni tipo di platea. Virtù questa che gli ha aperto la strada anche a livello nazionale; Simone Cristicchi, direttore del Teatro Stabile d’Abruzzo gli ha commissionato un nuovo spettacolo su Leonardo da Vinci per il 2019.

Questa sua “Storia perfetta dell’errore” scritta in modo chiaro, godibile, ironico, si annuncia un’opera spartiacque fra il prima e il dopo; dopo avere scritto 24 spettacoli/monologhi, il libro, quasi una summa del Mercadini pensiero, raccoglie tanti concetti filosofico scientifici che ha divulgato negli anni. Li espone, novità, attraverso il racconto di una storia d’amore che sembra finita, fra un lui e una lei insoliti. I protagonisti sono Pietro Zangheri da Rimini trentenne paleoantropologo, con il pallino della perfezione, timoroso di non superare l’esame da ottavo dan di Kendo; lei è Selene di Ravenna 29 anni traduttrice di lingue orientali, afflitta da “un errore” lo Ied (disturbo esplosivo intermittente) malattia che la spinge a reazioni abnormi e che, per tale ragione, si allontana da Pietro. Lui non desiste; comincia a scriverle via mail lettere di esagerata passione sentimentale nelle quali racconta storie di evoluzione e umanità dove l’errore è elemento di progresso, distintivo e vincente.

Mercadini, esordire da romanziere puntando su una sorta di elogio dell’errore come punto focale della storia dell’uomo può sembrare rischioso; in contrasto con i comuni convincimenti di una vita di successo.

«Il concetto dell’errore è stata l’idea iniziale – risponde lo scrittore – si allaccia all’evoluzione, che deriva da errori del codice genetico; era già presente nel mio monologo “Se fossi la tua ombra mi allungherei a mezzogiorno”. Il suggerimento di scrivere un libro, lo devo però alla spinta che mi diede tre anni fa lo scrittore Paolo Sortino; la Rizzoli mi ha quindi suggerito di dare una forma narrativa ai miei scritti; da qui è nata la storia di Pietro e Selene».

I suoi protagonisti, quasi un pretesto per affrontare tanti disparati argomenti, possiedono elementi di originalità quasi “forzati”; sono frutto di ponderazione o arrivati spontaneamente?

«I tratti e le professioni di Pietro e Selene, come pure quelli dell’amico Widmer detto il Buddha, della sorella Patrizia, della nipotina Anita, sono stati studiati nei minimi dettagli, per giustificare e rendere credibili i vari argomenti di cui tratto. Mi è servito molto lavoro a incastrare il puzzle. Dopodiché, una volta definiti, è stato solo un gran divertimento farli parlare, anzi neppure mi sembrava di essere io a scriverne, mi sembrava facessero tutto da sé».

Nei 19 capitoli distribuiti in 220 pagine, vi sono racconti scientifici presenti in suoi precedenti monologhi sull’evoluzione; dalla formazione della Luna da Theia, al cianobatterio prima forma di vita, all’era del Mesozoico di fiori e dinosauri, fino ai mammiferi, a Darwin, al fossile Lucy… perché questa esigenza?

«Perché per me l’evoluzione equivale alla storia più grande di tutte: la storia del mondo, quella della vita, quella che le contiene tutte. Qui la interpreto dal punto di vista dell’errore».

Episodi di evoluzione che racconta sembrano giustificare l’origine di qualcos’altro.

«Da sempre l’origine in quanto inizio delle cose è per me motivo di enorme attrazione, in qualsiasi campo, perfino nel calcio! Su Youtube sto pubblicando la rubrica “L’alba del football”, dove racconto del calcio italiano fino al 1935».

A giustificazione dell’errore, accosta temi anche molto distanti. Gustosi episodi come la bocciatura nel Kendo per “eccessivo attaccamento alla vittoria”, si affiancano alla pretesa surreale della rock band dei Van Halen di avere in camerino ciotole di confetti M&M’s, ma privati di quelli di color marrone; racconta dell’africano del Mozambico che, arrivato in Giappone, diventa il primo samurai di colore; fa sapere dell’etnologo Fosco Maraini (padre della scrittrice Dacia) che prigioniero in Giappone nel 1943 salvò se stesso e la sua famiglia tagliandosi il dito mignolo.

A racconti contemporanei ne aggiunge altri legati a “errori” dell’Antico Testamento, da Abramo chiamato a popolare la stirpe a 75 anni, a Giona e la balena, a Davide che per sposare la principessa consegna centinaia di prepuzi al re Saul. Racconta poi del cannocchiale di Galileo, dei colori di Newton, della fama di Shakespeare raggiunta dopo la rapida morte di tre colleghi coevi. E si sofferma sul geniale scultore Michelangelo che compie il capolavoro della Cappella Sistina in veste di pittore.

Dove sta il nesso fra tanta ecletticità?

«Nel fatto che mi sento in dovere di conoscere tutta la bellezza, di interessarmi a ogni cosa che ci riguarda; lo faccio con una mentalità scientifica, nel senso che cerco di affrontare ogni cosa in modo razionale, di apprendere con un ordine».

Nel capitolo “Asino chi legge” si diverte anche a citare “recensioni” banali di lettori a proposito di grandi classici della letteratura.

«Purtroppo sono commenti veri che ho ricavato dal servizio qualità di Amazon libri. La mania di recensire ogni cosa, spinge ad avventurarsi anche sui libri con risultati demenziali. Come si fa a dire di Guerra e Pace “mi aspettavo di più”, o del Grande Gatsby “parte male poi si riprende”. Mi ha molto colpito; per me è conseguente alla distorsione della nostra epoca in cui tutto viene valutato dal gradimento del consumatore».

La sua formazione è di informatico, negli ultimi anni ha lasciato il lavoro per dedicarsi solo al teatro e allo scrivere; si sente lei pure figlio delle errore?

«Sin da adolescente sapevo che la mia passione erano scrittura e teatro, temevo però di non trovare lavoro studiando materie umanistiche. Così, dopo il liceo scientifico, mi sono iscritto a Ingegneria, ho studiato matematica e algoritmi, ho lavorato per dieci anni come informatico. Tutto ciò mi ha dato conoscenze, un metodo di lavoro, un rigore del pensiero che altrimenti non avrei avuto. Perciò se riesco a narrare con efficacia anche argomenti… di arte, lo devo al fatto che ho preso la strada… sbagliata!».

Una strada che lo ha portato al salto letterario nell’anno delle sue prime 40 primavere.

«È un bellissimo regalo del destino che la vita mi ha fatto; spero che, chi mi ha seguito fino ad ora, mi riconosca anche in questo libro».

Ad aprire gli eventi di oggi è Donatella Di Pietrantonio; alle 11 in Malatestiana presenta “L’arminuta”, Premio Campiello 2017. Seguono alle 17.45 Marco Balzano con “Resto qui”, alle 18.30 al chiostro il poeta Tiziano Scarpa.

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