Un pianoforte, un matrimonio e il ritmo del Brasile: “Que bom!”

Rimini

CESENA. Si può considerare un vecchio amico, Stefano Bollani, per gli appassionati romagnoli di jazz; le sue “scorribande” musicali in questa terra sono cominciate all’inizio del Millennio e in modo sorprendente, per scelta dei musicisti (a Cesenatico anche in coppia con la tromba Enrico Rava), di compagni di gioco (memorabile nel 2005 il concerto al Petrella con la Banda Osiris), o da uomo solo “al comando” del suo pianoforte a fare scintille con la tastiera. Così è stato tre anni fa al Bonci di Cesena; città e teatro in cui torna oggi per la prima serata della Festa di Radio 3, in chiusura di giornata alle 21.30. Il concerto condotto da Monica Nonno si annuncia all’insegna di quel divertissement che predilige, in compagnia della banda del televisivo “Dottor Djembè”, nel giorno dell’uscita del suo nuovo disco Que bom (Che bello) registrato a Rio de Janeiro con musicisti brasiliani. Disco che verrà presentato completo di valente band carioca il 13 luglio a Ravenna festival (Pala De André); il 15 bisserà a Umbria jazz con il super ospite Caetano Veloso che ha pure firmato alcuni brani.

Nei prossimi mesi Bollani attraversa l’Oceano avanti e indietro per il tour di Que bom fra America, Italia e Brasile.

Allora torna in America, Bollani?

«Sì – risponde l’artista – si annuncia un’estate calda con date serrate di Que bom. Prima suoneremo in Paraguay e Argentina, a luglio saremo in Italia, ad agosto in Brasile, a novembre torniamo in Europa. C’è molto movimento, sono contento di suonare nei due mondi».

A Cesena farà ascoltare qualche pezzo in anteprima?

«Sì, farò sentire alcuni brani del disco anche se sono da solo sul palco; il disco è pieno di percussioni, in questo caso le adatterò al mio pianoforte».

La musica brasiliana ha bisogno di essere anche ballata.

«Ah già! Essendo un piano solo non posso, se mi metto a ballare si ferma la musica. In tour magari potrei pensarci, ballare è l’unica cosa che mi manca, però forse va bene così, è meglio per tutti».

La serata di Radio 3 sembra sia stata voluta dal Dottor Djembè; darà il “la” a una nuova serie televisiva?

«È uno dei tanti progetti nell’aria, con il gruppo di lavoro della trasmissione sono sempre in contatto, non si sa mai che possa tornare. Questa sera improvviseremo e giocheremo in tema Djembè ma a braccio, perché a me piace suonare nel presente. So che usciranno i personaggi del “Dottor Djembè”, avranno bisogno di essere introdotti e dunque ci sarà un intento divulgativo nel fare conoscere al pubblico questi sconosciuti».

Suonare e raccontare con le parole è un binomio frequente nelle sue performance eclettiche, le appartiene nonostante sia musicista?

«Credo sia lo stesso binomio che pratico con il pianoforte, solo usando un linguaggio diverso. Le due cose sembrano diverse, ma l’intento è lo stesso. Che sia con la voce o con i suoni è sempre un raccontare, tramandare, reinventare un nuovo modo di spiegare il jazz, l’improvvisazione. È l’unico modo per spiegare il linguaggio della musica che altrimenti suona complicato; perché è più facile suonare che parlare con le persone e spiegare cosa c’è dietro. La musica è meravigliosa perché è un linguaggio che arriva subito, non ti poni il problema di capire, ti dà più libertà del cinema o del teatro».

La figura del pianista “solo” è associata all’idea di un uomo (o donna) solo.

«In realtà non suono mai da solo, nel senso che ogni volta interagisco coi musicisti che amo che sia un brano di Nino Rota o di Gershwin, o un accordo di Bill Evans o un’idea alla Frank Zappa. Significa che sto dialogando con degli spiriti, sto evocando lo spirito di Nino Rota, reinvento cose da lui scritte e le propongo a tutti, sono un tramite, mai solo».

È bello avere tanto pubblico ai concerti?

«L’applauso è una botta di creatività, ma sarei più contento se tutti suonassimo insieme. La musica deve essere di tutti, non è bello suonare davanti a chi non ha mai visto un pianoforte, un’arpa, una tromba. Chi non sa suonare provi a cantare o a ballare, però è un peccato non farla, la musica».

Con quali progetti proseguirà il 2018?

«Non sono bravo a pensare lontano, però un progetto a breve distanza c’è, anche se non è per il grande pubblico; nel senso che Valentina e io ci sposiamo a fine giugno (Valentina Cenni, la sua compagna, è un’attrice di Riccione, ndr); non è il progetto che farà il tour nei teatri, ma per noi è molto importante».

Congratulazioni! La ricarica, creativamente?

«Direi di sì, siamo in fervida attività creativa. Ora veniamo da due mesi di vacanza, siamo stati in ozio creativo, un periodo in cui non ho suonato ma ci siamo ritirati in un bosco».

Dal “buen retiro” è fiorito qualche nuovo desiderio?

«Nel cassetto ho sempre un pensiero rivolto a Buenos Aires, non di solo tango vive l’uomo, c’è tanta altra musica folklorica in Argentina e compositori molto interessanti. Hanno un gusto, un calore che è vicino al mio e quindi mi piacerebbe, lo sto rimandando ma è un pensiero che mi accompagna. Vorrei starmene in Argentina a registrare coi musicisti del luogo, poi dovrò capire come costruire il resto dell’impalcatura, saltare sopra e sconquassarla».

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