Danio dalle "Incisioni" alla "Vocazione"

Rimini

 

RAVENNA. Danio Manfredini, attore teatrale pluripremiato, torna in Romagna con due lavori. Venerdì 14 marzo è al teatro Rasi di Ravenna con il concerto “Incisioni”; sabato 15 marzo alle 21 al teatro Comunale di Sogliano, per “Prova d’attore” presenta “Vocazione” studio per un nuovo spettacolo in collaborazione con Vincenzo del Prete, produzione La corte Ospitale. È un assaggio dello spettacolo che debutterà a Santarcangelo.

“Incisioni” è un concerto, lei con cinque musicisti. Passione nuova o antica per lei, cantare?

«Ho sempre canticchiato, ma per gli amici. In scena la prima volta mi fece cantare Pippo Delbono ne “Il silenzio” nel 2000. Da quel lavoro nacque un disco ascoltato da Cristina Pavarotti (figlia di Luciano) e dal marito Massimo Neri. Mi hanno proposto di realizzare un disco e un concerto di cover di musica italiana. Un’esperienza partita nel 2012».

Come ha reagito in questo ruolo atipico?

«All’inizio mi sembrava come un gioco; di concerto in concerto mi sono reso conto che è molto difficile cantare e farlo davanti a un pubblico. È un mezzo utile per veicolare gli stati d’animo. Sono accompagnato da un quintetto di bravi musicisti; ho scelto pezzi di vario genere da “Ancora ancora” di Mina a “Vento nel vento” di Battisti, a “Stupido Hotel” e “Vivere” di Vasco Rossi. Inoltre inserisco alcuni inediti».

Dunque comincia anche a scrivere canzoni?

«Lo sto facendo con il supporto ai testi di Cristina Pavarotti competente in materia e di Massimo Neri per le musiche. Gli inediti sono per un nuovo cd che integra il nuovo spettacolo “Vocazione”. In questo caso la tematica canora è esistenziale; sono per lo più ritratti di persone che hanno lasciato un forte segno nella mia vita ma che non vedo più. Un lavoro nato in totale incoscienza che poi si è collegato a Vocazione».

Qual è il filo conduttore dello studio che presenta sabato a Sogliano?

«In Vocazione affronto il rapporto tra arte, vita, canzoni. A Sogliano recito estratti ispirati al repertorio classico teatrale che prevede attori nel copione. Come ad esempio ne “Il gabbiano” di Cechov l’attrice Nina in dialogo con Konsta, oppure il vecchio attore Minetti di Thomas Bernhard o da “Il canto del cigno” di Cechov l’attore che si addormenta ubriaco in camerino».

Qual è l’urgenza di tutto ciò?

«Nasce da una mia personale difficoltà che va ad unirsi a quella di essere attori rispetto alla confusione creata dallo show. Il teatro non è lo spettacolo, è anche spettacolo, ma è un’altra la sua funzione, non basata sulla ricchezza dello show».

Possono convivere cultura teatrale e intrattenimento?

«Possono convivere queste realtà nei vari tipi di spettacolo. Io credo più a un lavoro di coscienza dell’attore e del suo pubblico, sono interessato all’evento evocativo che il teatro può innestare. Non mi permetto di dire va bene l’uno e non l’altro, dico che è poco considerato un certo tipo di teatro come il mio, che non è sostenuto».

Di recente ha assunto l’incarico di direttore dell’Accademia del teatro Bellini di Napoli; qual è il ruolo del maestro?

«È quello di una persona che ha un po’ più di esperienza e che interloquisce con artisti in erba offrendo loro la propria motivazione».

Incontra giovani con la sua stessa motivazione?

«Le persone arrivano in Accademia con una idea legata alla televisione, dove l’accademia si fonda sul concetto di competitività, concetto che io combatto a favore della collaborazione a cui ciascuno apporta le proprie qualità individuali. Altrettanto sono rigoroso e pretendo disciplina, cosa che sta causando una piccola rivoluzione».

Tornerà a lavorare con la Valdoca di Cesena?

«Ogni tanto partono fiammate di incontri; nutro grande ammirazione per il lavoro sulla poesia di Mariangela Gualtieri, per l’ideazione di Cesare Ronconi; mi hanno spinto a esplorare strade che da solo fatico a percorrere».

Info Ravenna: 0544 36239Info Sogliano: 331 9495515

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