La ragazza di Fusignano che cantò con Armstrong e Ray Charles

Ravenna

FUSIGNANO. La pelle ambrata, il fisico armonioso e sportivo, gli occhioni evidenziati dall’eyeliner, trucco assai usato negli anni ’60. Bella, di una bellezza solare ed esotica. È forse questo il primo ricordo che viene in mente di Lara Saint Paul, l’artista romagnola morta l’altro ieri nell’hospice di Casalecchio di Reno, dimenticata dal mondo dello spettacolo e in precarie condizioni economiche. Aveva 73 anni, era malata da tempo e beneficiava della legge Bacchelli.

Di quella splendida ragazza che nel 1968 arrivò in finale a Sanremo con Mi va di cantare, intonata sul palco insieme a una leggenda del jazz come Louis Armstrong, era rimasto ben poco. Riavvolgendo il nastro della sua vita, la storia dell’artista scomparsa assomiglia un po’ a una favola triste, di quelle che sembrano scritte per un film.

L’infanzia romagnola

Silvana Areggasc Savorelli, questo il suo vero nome, era nata ad Asmara da padre romagnolo (di Fusignano) e madre eritrea. Proprio in Romagna, dove trascorre la sua infanzia e dove tira calci al pallone con Arrigo Sacchi, scopre «la sua passione per il canto e compie i suoi primi studi», ricorda al Corriere Romagna Gianni Siroli, conduttore tv e oggi scrittore, memoria storica di artisti, orchestre e balere romagnole. Siroli incontrò Lara tanti anni fa, conosce bene la sua storia e negli ultimi tempi l’ha sentita più volte al telefono. A lei sono anche dedicate pagine del suo ultimo libro Romagna balerina (ed. Tempo al Libro), dove ricostruisce il mondo delle balere: 220 pagine di storie e 120 fotografie che riportano gli eventi più incisivi di quegli anni, dal 1950 al 2000. Il volume sarà presentato sabato alla Festa delle Aie a Castel Raniero, promosso da Giordano Sangiorgi del Mei, che tra l’altro premierà l’autore il 10 giugno a Cesena per la “Notte del liscio” per la divulgazione della memoria della musica romagnola attraverso le sue pubblicazioni su Castellina, Borghesi e Romagna Ballerina. «Non parlo solo di liscio, ma anche di vip, di cantanti romagnoli andati al Festival di Sanremo che venivano dalle balere: tra questi c’era anche Lara Saint Paul. Era il 1962. Silvana, questo era il suo vero nome, era figlia di un tecnico minerario ravennate e di un’eritrea. A 12 anni si trasferisce a Fusignano. È proprio in Romagna che scopre la sua passione per il canto, che coltiva contro la volontà del padre, rimasto vedovo e successivamente risposatosi. A Lugo e Faenza inizia i suoi primi studi di canto rispettivamente con Tina Brini e Valter Dentini, uno dei maestri più importanti della Romagna con il quale si sono formati molti. A scoprire il suo talento è l’impresario Savino’s di Bologna, lo stesso che lancia Milva. A 16 anni, con il primo nome d’arte Tanya, partecipa al Festival di Sanremo in coppia con Wilma De Angelis con la canzone “I colori della felicità”. Non vince e per alcuni anni la sua carriera artistica non registra nulla di importante: sono i tempi in cui per guadagnare Lara canta con le orchestre nelle balere. La svolta arriva quando incontra Pier Quinto Cariaggi, famoso produttore discografico, che sposa nel 1968 alla presenza di due illustri testimoni: Louis Armstrong e Lionel Hampton, vibrafonista jazz. La carriera decolla; nel 1966 partecipa al Festival delle Rose, nel ’67 al festival di Napoli e nel ’68, in coppia con Armstrong, al Festival di Sanremo».

Dopo il trasferimento a Milano, secondo Siroli, Lara Saint Paul, non ha più contatti con la Romagna. Il festival le apre le porte della tv e del varietà, da “Quelli della domenica” a “La domenica è un’altra cosa”. Sono gli anni in cui l’artista va in tour in Europa e negli Usa. A Los Angeles lavora, tra gli altri, con Ray Charles e Stevie Wonder e stringe una bella amicizia con Frank Sinatra. Negli anni Ottanta, quando le cose non sembrano andare più tanto bene, diventa pioniera della aerobic dance, ma anche designer e autrice di un documentario su Pavarotti.

Gli anni difficili arrivano dopo la morte del marito: malattie, problemi familiari e difficoltà economiche. Da Milano si trasferisce a Bologna, dove vive la sorella.

L’ultima telefonata

«L’anno scorso mi ha telefonato quattro o cinque volte – ricorda ancora Siroli –. Era in difficoltà, non mi ha chiesto soldi, ma di passare in televisione un suo ultimo video. Ma era difficile ricollocarla, i tempi erano cambiati... Si era sfogata con un’amica comune romagnola: era disperata per il fatto che tutto questo fosse accaduto a lei, che si era trovata giù dal palcoscenico dopo esserci stata con successo. Perché era stata abbandonata dal mondo dello spettacolo? Non lo so, ma succede. La morte del marito è stato un po’ l’inizio della fine: ma lei era brava, non è stata solo una meteora, aveva una bella voce e una bella presenza. Certo è più facile ricordarla come artista internazionale che come cantante romagnola, anche perché in quegli anni puntare sulla Romagna non aiutava».

Una favola bella con un finale triste, reso ancora più drammatico dalla dichiarazione della figlia: «Non abbiamo soldi per il funerale».

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