«Racconto la scelta di mia madre Elda partigiana che si faceva chiamare Sonia»

Faenza

Ciò che ci ha lasciato l’ultima guerra, col suo carico di orrore e di morte, è anche la memoria del sacrificio di tanti giovani che diedero la vita per gli ideali di giustizia e libertà.

Combattenti singoli o gruppi di militanti o intere città, come Faenza, dove si dipana la storia di Elda Carboni, giovanissima staffetta partigiana con il Nome di battaglia Sonia. E questo è il titolo delle sue memorie, ora raccolte dalla figlia, la scrittrice e giornalista Laura Carboni Prelati, nel volume edito da Nda Press/Nfc, che sarà presentato dall’autrice stasera alle 21 alla Biblioteca di San Mauro Pascoli.

Che cosa l’ha spinta a raccogliere le memorie di Elda e Piero?

‹‹Ho raccolto, a distanza di oltre 70 anni, il racconto di certi episodi particolari e fatti sorprendenti legati al periodo della gioventù di mia madre quando, appena diciassettenne, entrò a far parte delle Sap (Squadre di azione patriottica) col nome di battaglia Sonia. Questo intarsio di memorie e accadimenti assume oggi un grande valore perché parla delle storie di vita vera vissuta sullo sfondo di una Romagna devastata dai bombardamenti e dall'orrore della repressione nazifascista. Elda entrò nelle Sap col ruolo di staffetta dapprima, poi, insieme al fratello Alberto e all’amico Piero Minardi, divenne combattente (8ª Brigata Garibaldi) militando nel Fronte della gioventù. Era orgogliosa di essere considerata una ex combattente soprattutto quando pensava a tutti coloro che, specialmente in occasione del 25 aprile, sbandieravano di essere stati dei veri patrioti per aver partecipato ad azioni spettacolari, mentre non hanno mai pensato o saputo cosa volesse dire esserlo veramente››.

Quali sono state le motivazioni ideali e i fatti che li hanno spinti alla Resistenza, pur essendo ragazzi come tanti altri?

‹‹L’adesione di Elda alla Resistenza non è affatto casuale; non è stata una semplice reazione emotiva all’orrore provato come silente testimone – la sera del 4 novembre ’43 – al brutale omicidio sotto casa dell’antifascista Fagnocchi da parte delle Brigate nere faentine. Quel drammatico episodio, al quale Elda assistette inconsapevolmente, fu l’occasionale innesco che la spinse a infrangere le comprensibili resistenze di devozione alla famiglia e tutti quei comportamenti improntati alla riservatezza, discrezione e riserbo, tipiche delle ragazze di buona famiglia. La sua adesione è la lenta e consapevole maturazione di un vissuto quotidiano che accomuna i tre fratelli Carboni come protagonisti di un processo di reciproca motivazione. In famiglia non si parlava di politica, ma ogni giorno si condivideva un lessico familiare di forte impronta etica, fatto di parole e di comportamenti rigorosamente coerenti››.

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