Ci vorrebbe un altro Swift per salvare il popolo italiano

Rimini

CESENA. Se i simboli della politica contemporanea sono oggi così grezzamente emotivi, è anche perché l’alta cultura ha rinunciato da troppo tempo all’esercizio vitale del pensiero. Lo sostiene Giancarlo Pontiggia – premio Montale 1998 per la raccolta Con parole remote – nell’ultimo numero della rivista Edel Cche è stato presentato a Cesena.

Pontiggia, nel suo saggio lei cita da un lato l’esempio di Céline, e dall’altro il Leopardi del “Bruto minore”, ovvero la difficoltà di immaginare oggi un poeta che parli di verità, di libertà, di giustizia in termini non ideologici, ma poetici.

‹‹Quel che colpisce nel Novecento è l’instabilità e la fragilità del mondo intellettuale: il suo progressivo sprofondare nelle mitologie irrazionalistiche dominanti, la sua difficoltà nel conservare una reale autonomia di pensiero. Céline è in fondo, proprio per il suo estremismo delirante, l’esempio di questa modernità contraddittoria e aggressiva, mentre Leopardi, all’opposto, proprio per l’intransigenza e la misura del suo pensiero critico, per la sua capacità di saper immaginare quando è necessario immaginare, e pensare quando è necessario pensare, ci appare come una figura eroica e obsoleta, totalmente inattuale. E però, in questo sconquasso storico, bisognerà aggiungere che l’inattualità è sempre stato il fondamento della vera poesia››.

«Forse – aggiunge nel testo – i poeti si sono arresi alla modestia dei tempi, e ci vorrebbe un altro Swift per mettere a fuoco un qualche verosimile progetto per il miglioramento del popolo italiano».

‹‹L’Italia, a quanto appena detto, aggiunge la sua dose secolare di cinismo e di opportunismo, di rilassatezza morale e di cialtronesca millanteria. In tutto questo, scuola e editoria – che hanno rappresentato nel secolo scorso il meglio di questo Paese – sono venute meno alla loro tradizionale funzione pedagogica: che dovrebbe consistere nel favorire la complessità del pensiero e delle forme espressive, non certo nello standardizzarle su meri parametri consumistici. La modestia culturale della nuova classe politica è lo specchio della modestia culturale di un Paese in cui gli insegnanti si sono arresi alle famiglie, e i direttori editoriali al gusto facile di un pubblico indifferenziato››.

Come si possono allora tracciare questi «nuovi confini del concetto di democrazia e di libertà», e rifondare un’idea di cultura come «pensiero di civiltà, di umanità nel senso storico e profondo con cui questa parola è giunta fino a noi»?

‹‹Per salvare la democrazia, dovremmo avere il coraggio di esigere regole di vita politica più rigorose: togliere l’immunità parlamentare, ad esempio, consentirebbe di porre un argine ai mortificanti traffici della nostra classe politica; imporre un esame di lingua italiana e di cultura generale a chi si candida in Parlamento, aumenterebbe forse il livello intellettuale di chi governa; interdire dalla vita pubblica – e dall’attività giornalistica – chi manipola dati e notizie, creerebbe un maggior senso di responsabilità in chi utilizza sistemi mediatici di enorme impatto collettivo... Ma lo stesso dovrebbe valere per ciascuno di noi: la questione morale continua a restare la grande piaga, immedicata, di questo Paese››.

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