«Il cinema? Un grande sogno che ti apre il cuore, ma anche un’enorme illusione»

Rimini

CESENATICO. Stravagante, colorito nelle espressioni, ma che prima di essere un poliziotto è un uomo nel quale ognuno si può identificare. “L’ispettore Coliandro” torna, non solo a Bologna. Questa volta infatti il personaggio creato da Carlo Lucarelli (Einaudi) arriva per la prima volta anche a Cesenatico. Sono iniziate questa settimana le riprese della nuova stagione, la settima, della fiction che racconta le vicissitudini dello sgangherato e politicamente scorretto sovrintendente della questura bolognese, poi promosso ispettore, interpretato da Giampaolo Morelli nella serie cult dei Manetti Bros. A produrlo ancora una volta sarà Velafilm capitanata dal produttore Tommaso Dazzi.

Dazzi, sono iniziate le riprese della nuova stagione de “L’ispettore Coliandro”. Romagna ed Emilia, saranno i teatri della fiction. Perché ha scelto Cesenatico?

«Cesenatico mi sembrava molto interessante come teatro di alcune riprese della nostra amatissima serie tv; mi piacciono molto il porto e il canale. In un primo momento, sembrava che ci fosse anche un contributo di ospitalità degli alberghi della zona, ma poi questa possibilità è rientrata. Un mio familiare vive a Cesena e più volte mi ha invitato ad andare a girare in quei luoghi. A Cesenatico ambienteremo solo una puntata, tutte le altre a Bologna e dintorni».

Ben 6 stagioni televisive e la carriera dell’ispettore più amato della tv sembra non fermarsi mai. Perché secondo lei ha avuto e sta continuando ad avere tutto questo successo?

«L’ispettore Coliandro è un personaggio sui generis: da un lato emergono la sua simpatia e cialtroneria, dall’altro una dedizione completa al suo lavoro con la costante ricerca di giustizia e di onestà. È un bel ragazzo e piace sempre molto al gentil sesso e lui non disdegna quest’ammirazione».

Nel 2010, ha fondato Velafilm, oramai nota casa di produzione cinematografica e televisiva. Perché ha deciso di darle vita?

«Questo è il mio mestiere e, facendo il produttore, opero attraverso società di produzione che credono in quello che faccio».

Chi è Tommaso Dazzi?

«È un professionista che da ben 40 anni fa questo mestiere, si dibatte fra tutte le problematiche che potrebbero in realtà essere molto più semplificate. È un produttore creativo ma è costretto, sempre più spesso, a occuparsi di firme e certificazioni che non sarebbero di sua competenza».

E che cos’è per lei il cinema?

«È un grande sogno ma anche un’enorme illusione che permette a tutti di spalancare le porte della mente e del cuore. È una grande fabbrica che garantisce, seppur per poco, di staccarsi dalla quotidiana realtà. Mi piace molto anche il documentario che permette di riuscire a entrare nella realtà nuda e cruda».

Cosa vuol dire produrre oggi in un Paese come l’Italia?

«Posso dire che è molto difficile se non addirittura impossibile. Se si ha una grande società si possono concepire prodotti di lunga serialità, convenzionali, ma che funzionano; se invece si attua un’operazione artigianale come quella che faccio io si hanno moltissime difficoltà. La burocrazia oramai si è impossessata del nostro Paese, facendo controlli costanti e di fatto inutili».

Una delle sue ultime fatiche è stata “La porta rossa”, targata sempre Rai2, che vede protagonisti Lino Guanciale e Gabriella Pession, una fiction giudicata innovativa. Perché secondo lei?

«È una storia innovativa. Abbiamo raccontato di un ispettore fantasma che non vuole abbandonare la normalità della vita per difendere la moglie. È una fiction che è stata molto seguita per una sceneggiatura eccezionale e interpreti straordinari diretti da un regista eccellente, qual è Carmine Elia».

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