«La mafia continua a massacrare i sogni di intere generazioni»

Rimini

FORLì. Un sorriso che contagia, ma contemporaneamente indagatore, che non si ferma alla superficie ma che scava in profondità. Pif, nome d’arte di Pierfrancesco Diliberto, volto noto al grande pubblico, oggi incontrerà gran parte degli studenti della scuole superiori e medie della città al teatro Diego Fabbri di Forlì dalle 9.30 del mattino per un incontro che vede protagoniste la legalità e la non cultura dell’indifferenza. In quest’occasione, Pif spiegherà che cosa sono la criminalità organizzata e la cultura dell’omertà, attraverso il suo cinema, che racconta una piccola parte di storia di una terra affascinante e terribile, qual è la Sicilia, manifestando la sua luce e la sua ombra, che a volte non sa prendersi cura della sua bellezza, arrivando fino a sfregiarla con il sangue, ma dove ancora c’è ancora spazio per la passione per la vita e il sorriso.

A presentarlo sul palco ci saranno l’assessora alla Legalità Maria Grazia Creta e l’ex ispettore della Dia di Palermo Pippo Giordano. Ne abbiamo parlato con il regista, attore e conduttore.

Pif, lei incontrerà gli studenti al teatro Fabbri di Forlì. È importante parlare ai giovani di criminalità organizzata? Perché?

«Assolutamente sì. L’Italia del nord ha bisogno di anticorpi. Purtroppo o per fortuna, la criminalità organizzata di oggi non è più quella di un tempo, ovvero non è più quella che uccide e sparge sangue per le strade in maniera così evidente. Sono in molti ancora a pensare che sia un fenomeno limitato soltanto al sud del nostro Paese ma non è così. Il mafioso non è più quello con la coppola e la lupara, bensì colui che molto spesso è vestito in giacca e cravatta e che riesce a mimetizzarsi benissimo nella società. La mafia è molto più vicina a noi di quanto possiamo credere, dobbiamo esserne consapevoli».

Qual è il ruolo del teatro e della cultura nella società di oggi?

«Hanno un ruolo fondamentale. Credo che un film e un incontro a teatro abbiano come scopo quello di far discutere e di non far rimanere nel silenzio dell’indifferenza; spero infatti sempre che al termine di un mio programma televisivo e di un mio film lo spettatore possa fermarsi dalla frenesia della vita per riflettere».

La vediamo su Mtv e Tv8 nel suo programma oramai storico “Il testimone”. Che cosa desidera comunicare?

«Mi piace raccontare in maniera diretta quello che vedo cercando di filtrare il meno possibile. Vorrei portare lo spettatore in mondi sconosciuti e lontani, luoghi nei quali non ha mai l’occasione e il coraggio di entrare. L’idea di usare una piccola telecamera era un modo per influenzare meno la realtà, cosa che invece la televisione fa continuamente. Viene usato un metodo che può ricordare il più possibile i filmati amatoriali che si facevano in famiglia, paradossalmente la bassa qualità delle riprese riporta tutto con i piedi per terra».

Di cosa noi oggi dovremmo essere testimoni oggi?

«Crescendo, ho sempre di più avuto chiaro che, per cambiare le cose in questo Paese, dobbiamo prima di tutto saper raccontare la realtà così com’è, senza spiegarla, ma sbattendola in faccia a chi è disposto ad accettarla. Ricordo ancora quando mi trovavo al bar con alcuni ragazzi un 23 maggio di qualche anno fa e questi giovani mi chiesero cosa fosse accaduto di preciso quel giorno nel 1992; nonostante fossero ancora adolescenti, ricordo lo sgomento e l’incredulità per tale quesito. Sono momenti come questo quelli in cui ci si accorge che la propria testimonianza ha un valore in più».

Fin da ragazzo ha mostrato una forte attitudine a guardare il mondo da dietro un obiettivo. Com’è nata questa passione?

«Negli anni ’80 mio padre aveva una casa di produzione e io sono cresciuto con quelle attrezzature. Ora mi trovo a fare parte di un mondo che mi piace; chissà, forse se non fosse stato per lui avrei fatto altro; ho sempre cercato di non abbandonare mai i miei sogni e così ho fatto la mia scelta, anche se di fatto la mia è stata una strada diversa da quella di mio padre perché io ho lasciato Palermo».

Ha lavorato come assistente alla regia di Franco Zeffirelli e l’anno seguente di Marco Tullio Giordana per “I cento passi”. Poi nel programma “Le Iene”, prima come autore televisivo e poi come “iena”. Cos’è l’informazione per lei?

«Non mi considero un giornalista e mai ho mai pensato di poterlo essere. Sono di fatto categorie che ci siamo creati noi. Avere o meno un tesserino che confermi una categoria non conta, a fare la differenza invece è la credibilità nel raccontare quello che ci circonda. Se siamo sinceri, ecco che chi ci sta intorno crede alle nostre parole, indipendentemente dall’essere o meno un giornalista».

Il suo primo film “La mafia uccide solo d’estate” ha unito pubblico e critica; ha avuto tanto successo da farne anche una fiction televisiva. Che cos’è la mafia?

«Continuo a viverla come una grossa ingiustizia. È un’organizzazione criminale che, se non ci fosse stata la politica e chissà quali altre entità, non sarebbe diventata quello che è realmente purtroppo. È sempre stato terribilmente sbagliato considerarla come un qualcosa di locale e di siciliano, dietro ci sono grandi entità che la appoggiano. La mafia continua a massacrare i sogni di intere generazioni. Sta vincendo dal punto di culturale e questo è molto pericoloso; in Italia, molto spesso vince la rassegnazione ed è terribile non credere nella forza dei propri sogni. Per me, la mafia è un incubo».

Nella serie tv, abbiamo lasciato il giovane protagonista della fiction che comprende che per combattere la mafia è necessario restare e non andarsene dalla propria terra. È così?

«L’amore per la propria terra non dev’essere una forma di schiavitù. Ognuno è libero di andare dove può esprimersi al meglio, carattere e capacità economica permettendo. Non critico chi se ne va per cercare fortuna altrove, disprezzo però invece chi resta e non combatte».

È siciliano, esattamente di Palermo. Che cosa rappresenta per lei questa città?

«È una città che mette a dura prova l’amore che si prova per lei; dà baci e carezze, ma molto spesso schiaffi molto forti. È contemporaneamente affascinante e terribile».

Racconta la mafia in una maniera particolare, attraverso l’ironia e la leggerezza. Il sorriso nella vita è importante anche quando si tratta di raccontare particolari eventi tragici della nostra storia, come quello che ha narrato nel suo film “In guerra per amore”?

«Ho sempre pensato, che finché esiste la forza di ridere, c’è ancora una speranza. Il giorno in cui non avremo più la forza di ridere, di sorridere e di emozionarci, vorrà dire che sarà davvero tutto finito. La mafia continua a provare a toglierci tutto, ma non ci toglierà mai il sorriso».

Che cos’è l’omertà?

«L’omertà nasce quando si ha paura e quando si è consci di non avere la possibilità di scegliere. L’omertà che c’è stata per molti anni nel nostro Paese, e che in parte continua a esserci, è un sintomo di forte debolezza da parte dello Stato perché se quest’ultimo ci fosse stato, non saremmo mai arrivati a questo silenzio così assordante».

Cosa consiglierebbe a quei giovani che vogliono fare cinema e tv informando e facendo divertire?

«Direi loro di essere sinceri, sempre e comunque. A volte la verità è faticosa, ma alla fine premia».

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