Come sopravvivere alla separazione: quattro amici tra disperazione, vita e consigli

Rimini

RICCIONE. Un volto rassicurante, un sorriso sincero e un genuinità spontanea. Simone Montedoro è uno dei volti più popolari della televisione italiana per il grande successo ottenuto per “Don Matteo”, la fiction di Rai 1 che l’ha visto entrare, tra l’attualità e una risata, nelle case degli italiani.

Stasera alle 21 allo Spazio Tondelli di Riccione sarà tra i protagonisti di Finché giudice non ci separi, uno spettacolo leggero nei toni, ma non nell’argomento. Racconta la storia di quattro amici tutti separati. Massimo è fresco di separazione e ha appena tentato di togliersi la vita. Gli amici gli stanno vicino per rincuorarlo, ma proprio quando sembra tornato alla ragione, un’avvenente vicina di casa suona alla porta...

Montedoro, che cosa l’ha spinta ad accettare questo ruolo?

«Avevo già lavorato con i fratelli Fornari e mi ero trovato davvero bene, sono persone squisite e molto professionali; inoltre è un vero piacere lavorare con questa compagnia teatrale».

Lei chi interpreta?

«Sono Mauro, un uomo benestante, viste le sue importanti origini familiari; è un assetato di vita, un furbetto e anche in parte superficiale, oltre che sempre alla ricerca di donne. Diamo vita a quattro amici interpretando, ognuno a proprio modo e con caratteristiche e comportamenti completamente diversi, le difficoltà che sono costretti ad affrontare. Tra questi, c’è Massimo che è fresco di separazione e ha appena tentato il togliersi la vita. Il giudice gli ha levato tutto: la casa, la figlia e lo ha costretto a versare un cospicuo assegno mensile alla moglie. Con quello che resta del suo stipendio si può permettere uno squallido appartamento, 35 mq, ammobiliato Ikea. I tre amici gli stanno vicino per rincuorarlo e controllare che non riprovi a mettere in atto l’insensato gesto. Ognuno dà consigli su come affrontare la separazione, questa nuova situazione e come ritornare a vivere una vita normale».

Lo spettacolo si concentra con ironia su un tema molto attuale, ovvero la fine del matrimonio. Cosa rappresenta per lei?

«Il matrimonio è un’unione importantissima; non sono sposato ma convivo e ho un figlio. È la conferma di un’unione eterna che deve essere sancita dal cuore e non da un contratto; la sua importanza non deve esser di facciata ma una scelta dettata dalla propria anima».

E che cos’è per lei l’amore?

«È un qualcosa di inspiegabile a livello razionale; può essere un gesto, uno sguardo, una parola detta da una persona a noi molto cara o anche l’espressione fidata del nostro cane sempre pronto a starci vicino. L’amore è necessario e credo sia insito in ogni persona, è linfa vitale e ossigeno. È alla base di tutto e ognuno lo può manifestare a suo modo, ma non in maniera malata perché in quel caso non è principio di vita ma di dolore e morte».

Chi è Simone Montedoro oggi?

«Un uomo semplice che ha un suo percorso e una sua storia personale, con i suoi sbagli e le sue conquiste. È un romantico che ancora si emoziona davanti ai colori di un tramonto. Ha fatto tesoro di ogni esperienza cercando di vivere appieno. Odia la prepotenza e la violenza: abbiamo una testa e tutti dovrebbero usarla».

L’abbiamo vista recentemente in “Sotto copertura” in cui ha interpretato un ruolo non facile. Come si è preparato e cosa ha significato prestare anima e corpo a un uomo come Arturo?

«Devo ammettere che non è stato affatto facile essere Arturo, è stata una grossa responsabilità. Abbiamo raccontato una storia vera che racconta la cattura del super boss della camorra Antonio Iovine, uno dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia. Ho avuto la possibilità di conoscere tutti i componenti della vera squadra che ha eseguito l’arresto, ho appreso e imparato da loro tutto, preso tutte le notizie e per me è stato un onore conoscerli. Stando loro accanto ci si rende conto delle mille problematiche che affrontano facendo questo lavoro, un lavoro pericoloso per il quale sono costretti a sacrificare gli affetti e la vita privata perché devono essere presenti 24 ore su 24. È quanto succede proprio ad Arturo che rischia di perdere moglie e figlio proprio per il lavoro, un mestiere che diventa piuttosto una missione e per il quale bisogna esserci dentro sempre, perché è delicato e la minima sbavatura o il minimo errore può mandare tutto a monte».

Gli italiani la conoscono soprattutto per il suo ruolo in “Don Matteo”. Perché il pubblico si è così tanto affezionato al capitano Tommasi?

«Tutto sta nel format della fiction; troviamo elementi come la Chiesa, l’Istituzione e, ingrediente forse più importante, l’umanità con i suoi problemi, oltre che i gialli, trattati quasi come una favola rendendo il prodotto televisivo adatto a tutte le età. Emerge anche una delicatezza che sicuramente non rispecchia l’efferatezza dei casi di cronaca a cui siamo abituati ormai quotidianamente. Il capitano Tommasi ha una forte passione per la vita, manifestata dal calore delle emozioni e da un cimentarsi in tutto e per tutto nel lavoro».

Com’è nata la passione per la recitazione?

«Tutto è nato per caso; stavo facendo una foto per una ditta di moda e il fotografo mi ha suggerito di fare pubblicità. Da lì, ho cominciato a studiare fino ad approdare nella recitazione: un mondo interessante che mi riempiva. Sono sempre stato un sognatore con i piedi piantati a terra».

Non solo televisione, ma anche teatro. Per un attore è davvero ossigeno per l’anima?

«Assolutamente sì. Permette di ascoltare e di esser ascoltato; è un vero e proprio contatto diretto con il pubblico, oltre che un’emozione che sembra non avere mai fine».

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