"La classe operaia va in paradiso", quella politica forse no

Rimini

RIMINI. Dopo il debutto emiliano e dopo le rappresentazioni al Bonci di Cesena e all’Alighieri di Ravenna, La classe operaia va in paradiso arriva anche a Rimini, dove è atteso da oggi al 15 marzo al teatro Novelli. Lo spettacolo è costruito a partire dalla sceneggiatura di Petri e Pirro e parte dallo sguardo discordante del film del 1971 per provare a riflettere su cosa stia realmente accadendo in Italia oggi. I materiali che testimoniano la genesi del film sono riassemblati in una nuova tessitura drammaturgica da Paolo Di Paolo e scaldati da un impianto musicale ricco ed eseguito dal vivo dagli stessi attori coinvolti nella messinscena.

La classe operaia va in paradiso offre uno sguardo scandaloso e anche in determinati momenti straniante per riflettere sulla recente storia politica e culturale del nostro Paese. Questo non è semplice teatro, ma molto di più; rielabora e ricontestualizza un film girato gli anni ’70. Ieri era la fabbrica di Lulù Massa a parlare di precarietà, mentre oggi si può estendere la precarietà al lavoro in generale. In un mondo quasi “surreale” come quello in cui stiamo vivendo, dove la società è frantumata e la politica pare svuotata dalle proprie virtù, assistere a uno spettacolo nel quale si parla di dignità, lavoro, forza d’animo e di operai non può che far aprire gli occhi. Promosso da Ert con la regia di Claudio Longhi, vede tra i suoi protagonisti l’attore Lino Guanciale, che ha riposto ad alcune domande.

Lei sarà in in Romagna e non solo con “La classe operaia va in paradiso”. Perché ha deciso di portare in scena questo spettacolo?

«Posso dire di essere stato il suo promotore. Ho raccontato della mia idea al regista Claudio Longhi e anche lui l’ha trovata interessante, ecco che è partita la macchina per la realizzazione. La classe operaia va in paradiso ha margini di forte attualità; parliamo del lavoro, della coscienza politica dei lavoratori e di tutti quei problemi che solo chi fatica tante ore al giorno può capire».

Cosa rappresenta per lei il teatro?

«Da sempre l’occasione di fare ricerca su me stesso, oltre che sul rapporto che si va a instaurare tra me e tutti coloro che si siederanno in platea, pronti a immergersi in quello che verrà portato in scena. È il modo migliore per crescere artisticamente».

Lo spettacolo prende spunto dal film del 1971 di Elio Petri. Come avete portato in scena la classe operaia? Con quali differenze?

«Non abbiamo semplicemente portato in scena una riduzione teatrale del film, ma abbiamo portato sul palco qualcosa in più. Chi verrà a vedere “La classe operaia va in paradiso” si troverà dinnanzi a uno spaccato di un’epoca. Recitiamo alcune sequenze del film intervallando scene che nella pellicola di fatto non ci sono, raccontiamo com’è stato ideato e scritto ma anche scene ambientate all’uscita dal cinema dove emerge il confronto tra spettatori dell’epoca e degli spettatori di oggi. È portato in scena un tipico dibattito post film in cui si confrontano degli intellettuali cinefili. Da sottofondo ci sono le canzoni di quegli anni sensibilmente riadattate per creare un filo di congiunzione del lavoro di ieri e di oggi. Il mondo della classe operaia, ossessionato dal lavoro, alienato e spezzato dalla logica della fabbrica infernale, diventa vivace, dinamico, interessante raccontandoci un po’ di noi».

In quegli anni, il film ha innescato un duro dibattito all’interno della Sinistra italiana, mettendone in discussione l’identità ideologica e l’effettiva capacità di rappresentanza. Lei cosa pensi a riguardo?

«Il discorso di Petri era talmente avanti e scomodo per la sinistra di allora (troppo ancorata ai suoi dogmi) tanto da rimanerne offesa. Al regista è costato tanto il film perché da lì è cominciata una parabola discendente di gradimento critico nei suoi confronti. Il contenuto era ed è ancora illuminante: l’alienazione è un problema che non riguarda soltanto gli operai ma tutti quei lavoratori che erano e sono considerati non come coloro che hanno il diritto di riflettere e di scegliere, ma come delle macchine che eseguono meccanicamente quello che gli è stato detto».

È in scena con la sua storica compagnia teatrale. Com’è nato il sodalizio con i colleghi?

«Ho conosciuto Claudio Longhi 15 anni fa circa; mi venne a vedere al saggio dell’Accademia e volle farmi un provino per alcuni suoi spettacoli, fortunatamente mi prese e da allora è nato un sodalizio artistico basato sul desiderio di riportare le persone a teatro facendole partecipare con laboratori teatrali e lezioni in cui interagiamo vicendevolmente. Negli anni, il “gruppo” si è allargato ad altri attori che avevano i nostri stessi interessi. Operiamo insieme da circa 6 anni con un baricentro tra Modena, Bologna e Cesena perché è Ert il teatro che più ha creduto in questo nostro modo di lavorare».

La classe operaia può davvero andare in paradiso?

«Assolutamente sì. Penso non solo gli operai, ma anche tutti coloro che riversano in condizioni spesso disumane nei call center, nei supermercati, a tutti quelli che hanno contratti ridicoli e dei part time che durano in realtà 15 ore al giorno, a tutti quegli ultimi che si trovano solo a fare da combustibile in quella grande macchina del benessere che ci fa credere che le cose non possano cambiare. Questi lavoratori meritano l’attenzione di tutti. La Sinistra dovrebbe sentirsi chiamata in causa ma purtroppo non ci riesce da tempo perché ha smesso di credere nella propria identità. Vedo una rassegnazione generale della politica di non voler cambiare, ma di conservare quello che abbiamo. Quello che cerchiamo di dire con il nostro spettacolo è proprio quello che per migliorare dobbiamo cambiare, credendoci».

La compagnia mercoledì alle 17 alle 17.30 incontrerà il pubblico nel ridotto.

Info: 0541 793811

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