Uno sguardo femminista sul legame tra diritto e potere

Rimini

RIMINI. Quando il diritto si interroga sul femminismo. Sarà Thomas Casadei, professore associato in Filosofia del diritto all’Università di Modena e Reggio Emilia, ad aprire, oggi alle 17.30 alla Cineteca Comunale di Rimini, il quinto ciclo di incontri “Parla con lei. Sapienza contro violenza”. Casadei, forlivese, presenterà il suo libro, di recentissima pubblicazione, Diritto e (dis)parità. Dalla discriminazione di genere alla democrazia paritaria (Aracne, 2018).

Il diritto, come si sottolinea in diversi passaggi cruciali del volume, non è solo il pensiero dei giuristi, ma un modo di essere della società, una parte della coscienza sociale. Che cosa significa?

«Il diritto trova la sua prima ed essenziale qualificazione nella coscienza sociale. La coscienza sociale rinvia al contempo ai valori della vita associata, ai limiti, agli obblighi e agli ideali riconosciuti in particolari gruppi sociali. Per svolgere un esercizio di critica del diritto e delle istituzioni, occorre posizionarsi all’interno dei contesti, acquisire uno sguardo sui soggetti, sulle relazioni, sulle cose e sul mondo, mettere in atto gesti e pratiche di ascolto e di riconoscimento».

E cosa c’entra questo con la parità di genere?

«La questione delle condizioni e dei diritti delle donne, le potenziali forme della democrazia orientata in senso “paritario”, rappresentano la possibilità di assumere una posizione rispetto ai nodi della giustizia e del diritto, nonché di elaborare un approccio specifico alle questioni filosofiche e, più in particolare, filosofico-pratiche (siano esse giuridiche, politiche, etico-morali)».

Che cos’è dunque il “giusfemminismo”?

«Per “giusfemminismo” si intende quella teoria femminista del diritto che mira a svelare l’origine “sessista-maschile-sessuata” del diritto e a proporre una riarticolazione dell’impianto teorico e pratico che regge i concetti e gli strumenti giuridici in un’ottica inclusiva delle diverse soggettività».

E quale ne è l’obbietivo?

«L’obiettivo di questo orientamento giusfilosofico, come ha osservato una studiosa come Orsetta Giolo, allieva di Letizia Gianformaggio, una delle prime teoriche del giusfemminismo in Italia, è quello di smascherare l’ipocrisia che sta alla base della presunta neutralità del materiale giuridico offrendo una costruzione teorica più rispettosa delle differenze e più efficace nel riconoscimento dell’eguaglianza delle persone».

Che cosa lo caratterizza?

«Dunque, l’approccio giusfemminista si caratterizza per la sua radicalità – per taluni versi sovversiva – e per la sua forte carica “politica” e “normativa”, non solo perché propone una politica del diritto e una teoria normativa del diritto alternative a quelle dominanti, ma anche perché riqualifica la visione – fintamente neutra – propria del pensiero giuridico classico come una teoria del diritto – in verità – fortemente intrisa a sua volta di ideologia e politicità. Il giusfemminismo, in altri termini, aiuta a svelare quanto sia stretto il legame tra diritto e potere ».

Tra i casi di studio, lei cita nel testo la legge quadro del 2014 emanata dalla Regione Emilia-Romagna contro le discriminazioni. Qual è la sua importanza?

«Si tratta della prima “Legge quadro contro le discriminazioni di genere e per la parità” approvata in Italia; la legge è maturata in un contesto territoriale ma fortemente radicato nello spazio giuridico europeo e internazionale. Credo costituisca un esempio significativo di quanto gli strumenti della riflessione lato sensu giusfemminista possano orientare la produzione normativa».

Che cosa contiene le legge?

«Il testo, frutto di un lungo percorso partecipativo che ha coinvolte numerosissime associazioni e tanti enti, contiene previsioni significative in merito a tematiche già “tradizionalmente” associate alle discriminazioni di genere (come le violenze maschili contro le donne e le problematiche giuslavoristiche), nonché disposizioni che riguardano ambiti e temi “innovativi” (dal contrasto agli stereotipi alla medicina di genere) e controversi (il riequilibrio nella rappresentanza istituzionale)».

Che cosa sono i gender stereotypes e perché dobbiamo contrastarli?

«Categorizzazione e stereotipizzazione sono fenomeni interrelati su cui si basano gran parte delle azioni e dei ragionamenti umani e ciò vale anche nella sfera giuridica, tesa a definire norme con le quali regolare la convivenza umana. Il pensiero di genere, e in particolare il femminismo della differenza avviato in Italia dall’esperienza di Carla Lonzi e del collettivo Rivolta Femminile, ha rappresentato una delle pratiche e delle riflessioni più potenti nella decostruzione dei meccanismi di stereotipizzazione identitaria».

Che ruolo ha avuto la famiglia tradizionale nel mantenimento degli stereotipi?

«Il ruolo della donna nella famiglia e l’ambito del lavoro domestico sono stati, storicamente, i campi più importanti per il mantenimento della discriminazione di genere. La subordinazione era sancita nell’istituto dell’“autorizzazione maritale”, introdotto nell’Ottocento in Francia e poi in Italia; esso ratificò l’ineguaglianza giuridica e l’incapacità civile delle donne sposate: era impedito loro, senza autorizzazione del marito, di alienare, donare, ipotecare o acquistare; anche dopo la sua abolizione nel 1919, ha perpetuato la sua logica mediante l’istituto del “capofamiglia”, abolito in Italia solamente nel 1975».

Tra la mera questione delle pari opportunità e la rivendicazione dell’empowerment femminile c’è la democrazia paritaria, cioè uno spazio pubblico in cui fra uomini e donne vi sia una relazione non più gerarchica. Quote, condivisione del potere, patto tra donne… quali sono gli strumenti da utilizzare per raggiungerla?

«La democrazia paritaria, che può adottare “azioni positive” senza per questo esaurirsi nella loro percentuale di attuazione, consente di “ampliare lo sguardo”. Di fatto essa costituisce, questa la tesi che ho cercato di sostenere, un progetto, imperniato su una diversa idea di eguaglianza, che si nutre delle acquisizioni delle diverse correnti del femminismo».

Ma come può il piano giuridico essere incisivo nella vita quotidiana?

«Al di là della dimensione istituzionale e delle norme giuridiche, la società resta permeata dalla distinzione tra pubblico e privato e da forme di discriminazione che vanno non solo viste con riferimento ai singoli soggetti (come finisce per fare la logica delle pari opportunità tradotta in quote) ma nella loro dimensione sistemica. Entro tale dimensione si combinano discriminazioni di tipo culturale (basti pensare all’educazione e all’insieme di aspettative che la società rivolge a bambini e bambine) e discriminazioni di tipo giuridico, economico e lavorativo, politico-istituzionale, ciò che sostanzia l’ordine patriarcale».

Qual è il ruolo della Rete? In che modo ha cambiato le pratiche del femminismo?

«I femminismi più recenti esprimono un bisogno di molteplicità – culturale, di stili di vita, di scelte sul versante bioetico – e fanno, sotto il profilo teorico e metodologico, dell’intersezionalità un aspetto ormai imprescindibile. Tale molteplicità sembra connotare anche la partecipazione alla politica attiva degli ultimi anni, su scala internazionale ma anche nel nostro Paese. Segno, questo, di una riattivazione di forme di cittadinanza attiva, dopo la lunga fase del disincanto».

Internet però ha anche risvolti pericolosi.

«Rispetto a queste potenzialità la Rete mostra spesso anche il suo “volto cattivo”, fatto di violenze verbali, sessismo, commercializzazione del corpo, diffusione amplissima di materiale pornografico in forme lesive dei diritti fondamentali delle donne: aspetti su cui si sta cimentando la più recente riflessione giusfemminista, anche con l’intento di individuare strumenti e azioni di contrasto, nonché di possibile prevenzione».

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