«Sono tempi nuovi ma io sono rimasto analogico e fortemente antifascista»

Rimini

IMOLA. Teatro contemporaneo d’autore al comunale “Ebe Stignani”; da stasera alle 21 sino a domenica 11 marzo (ultimo spettacolo ore 15.30) va in scena Tempi nuovi, commedia a quattro personaggi scritta e diretta dall’esperta Cristina Comencini. Ne sono protagonisti due nomi di cartello del cinema e teatro italiano quali Ennio Fantastichini e Iaia Forte, insieme ai più giovani Marina Occhionero (il 14 giugno sarà a Ravenna festival con Franco Branciaroli in “Lettres à Nour” di Rachid Benzine) e Nicola Ravaioli.

La storia racconta di una famiglia a due velocità; da un lato quella digitale e tecnologica con cui hanno familiarità i due figli; dall’altra – in contrasto – la cultura più lenta e profonda dei genitori, lei giornalista, lui storico di fama internazionale.

Il “capofamiglia” Ennio Fantastichini da Fiuggi, classe 1955, carriera assai prolifica nel cinema italiano e pure nella fiction, apprezzato padre di Fabrizio De André nella recente fiction tv Principe libero, nelle ultime due stagioni si è riavvicinato al teatro. Teatro nel quale si avviò appena quindicenne misurandosi con Beckett e in seguito diplomandosi all’Accademia romana “Silvio D’Amico”.

“Tempi nuovi” riparte da Imola per la tournée, dopo il debutto nell’estivo Festival di Napoli 2017; che cosa racconta lo spettacolo, Fantastichini?

«Racconta di un padre storico colto che non riesce a entrare nel mondo digitale di computer e iPad; poi, in virtù di una sorta di sfida lanciata dalla moglie e dai figli, questo padre diventerà una star del web; essendo lui uomo di cultura, diventa doppiamente pericoloso perché in Rete la gente è ignorante, mentre l’uomo con la sua cultura analogica e non digitale riesce a intrappolarli tutti. Credo che nel mio personaggio si rispecchino molti genitori della mia generazione, è tema comune l’essere analfabeti digitali; inoltre la commedia include pure un piccolo scontro fra i valori dell’affettività e dell’amore, è uno spaccato interessante».

Lei si sente come il suo protagonista, inesperto nei confronti del digitale o lo vive con facilità?

«Come lui sono un “barbaro” analogico, non capisco di computer, detesto Facebook, odio Zuckerberg, per me un distruttore del mondo. Mi chiedono: Facebook: ti piace? Ma cosa me ne frega a me della tua vita? Mi sembra cosa per persone con un coefficiente intellettivo scarso, si leggessero Cecov e Dostoevskij sarebbe meglio. Ma sono egocentrici convinti che il mondo giri tutto intorno alle loro vite. È vero che tutte le vite sono appassionanti, ma ce ne sono di più interessanti di quelle che girano attorno a Facebook».

Tornando al teatro, ha da poco chiuso la tournée di “Re Lear” per la regia di Barberio Corsetti, un classico in chiave moderna.

«Da alcuni anni volevo tornare a teatro; Re Lear è stata una proposta meravigliosa che mi ha “massacrato” con mesi di tour belli ma duri, una bel modo chiaro e diretto di raccontare la tragedia di Shakespeare utilizzando carrelli come tableau vivant. C’è chi mi ha detto: finalmente ho capito che succede in Re Lear. Dopo il tragico, ho deciso di passare a una commedia più facile, di maggiore successo economico. Perché oggi non si chiede più di uno spettacolo: com’era? Si chiede: quanto ha fatto? Non è la linea che voglio seguire, ma non posso combattere da solo contro un Paese che va da un’altra parte».

Conferma il ricorrente “tormentone” sulla difficoltà di portare in scena progetti ambiziosi.

«Non c’è niente da fare, in questo Paese è difficile fare il nostro lavoro, devi fare il cretino e l’ignorante, le cose si buttano come viene, la serietà e intelligenza si uccidono. Si lavora a compartimenti stagni, teatro e televisione non collaborano, in vent’anni si sono cancellati dal cuore Cecov e Dostoevskij. Ricordo di aver vissuto tempi meravigliosi con il Teatro Stabile di Catania, faceva 17mila abbonati, oggi ne fa 1300. Mi dispiace, specialmente per i giovani delle Accademie, per quelli del Centro di cinematografia come mio figlio Lorenzo, che è al secondo anno».

Il suo animo ribelle la portò negli anni Settanta al fianco di Dario Fo.

«Ero al primo anno di Accademia; Dario Fo cercava due attori, fece un provino, scelse me e Claudio Bigagli, per un anno al fianco del maestro nella comune della Palazzina Liberty di Milano; in Accademia c’era obbligo di frequenza, così al ritorno dovetti ripetere il primo anno».

Aveva già uno spirito anarchico ai tempi di Dario Fo?

«Sono sempre stato “anarchico insurrezionalista”. Con Dario facevamo Soccorso Rosso, raccoglievamo i soldi… Purtroppo eravamo comunisti, non avevamo capito allora, faccio ammenda del mio essere stato comunista, ma eravamo giovani, oggi sono puramente anarchico, vado nella direzione di Bakunin, la città del sole mi perseguita».

Come le sembra invece il Paese in cui vive?

«È una accozzaglia agghiacciante dove non si trova per chi votare. Il fascismo del Paese è in atto ed è irrefrenabile… CasaPound… vent’anni fa gli avremmo sparato… Non è possibile. Ecco, se devo dire cosa mi è rimasto davvero dentro, rispondo di essere rimasto profondamente antifascista, è un sentimento forte. ’Sti ragazzi sono ignoranti, si fanno tatuare una svastica sulla guancia senza conoscere il significato di questo simbolo, 50 milioni di morti, ragazzi, donne, bambini uccisi in nome di qualcosa di inverecondo, e allora mi fanno girare, perché la bestia è viva».

In mezzo a tanto presente tormentato, c’è qualcosa che le procura ancora serenità?

«Nel tempo libero la cosa alla quale mi dedico più volentieri è la natura, mi ci sento molto legato. Ho una casa nella campagna fuori Roma dove mi ritiro, in collina. Tengo molto alla casa a Pantelleria, in piena riserva, una casa isolata, in mezzo alle montagne. Lì posso starmene nudo, non c’è nessuno, posso avere quella libertà nel rapporto con la natura che più amo. Sopra casa mia c’è un falco che ha fatto il nido. È un posto dove certe persone si romperebbero le p… Io invece mi romperei le scatole a Rimini, per me le vacanze sono dove non c’è nessuno».

Info: 0542 602610

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