Mediterraneo mare nostro che unisce o mostro che ingoia?

Rimini

SOGLIANO-RUSSI. La civiltà del Mediterraneo, l’inciviltà del Mediterraneo. Mare nostrum che unisce popoli, mare monstrum che li ingoia durante le traversate sui barconi. Giuseppe Cederna, attore centrale del capolavoro di Salvatores, ritorna al Mediterraneo con questo spettacolo, Dall’altra parte del mare, doppio omaggio alle vite dei migranti e al cantautore Gianmaria Testa, scomparso nel 2016. Il testo è infatti direttamente tratto dall’omonimo libro di Testa, pubblicato postumo da Einaudi, ed è stato adattato per il teatro dal regista genovese Giorgio Gallione per volere della moglie del cantautore, Paola Farinetti, che ha espressamente voluto Cederna come protagonista.

Sulla scena le storie delicate e profonde di Testa si intrecciano con le testimonianze dirette di Cederna e con le riflessioni di Revelli e Ballerini, per integrarsi in un unico flusso alle canzoni del compianto cantautore piemontese. Uno spettacolo a più voci che sta affrontando una lunga tournée italiana, e che arriverà al teatro Turroni di Sogliano questa sera. La tappa al Comunale di Russi, invece, prevista per giovedì 1° marzo, è stata spostata a lunedì 5 marzo.

Cederna, come sta andando lo spettacolo finora?

«Mi sta dando molte soddisfazioni, per vari motivi. Sento la responsabilità di tornare sul palco con Gianmaria. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo anche come compagno di spettacolo. Questa volta lui non c’è, è da qualche altra parte, ma in realtà è come se fosse con me. È molto presente in scena, con i suoi racconti e con le sue canzoni».

Che persona era Gianmaria Testa?

«Una persona molto tenera, umile. La sua presenza non era mai ingombrante. Di solito, alla fine dello spettacolo, leggo una breve poesia che Gianmaria ha scritto due mesi prima di morire, “La bellezza esiste”. Questo è il messaggio che ha voluto lasciarci. Nella vita, oltre al dolore e alla fatica, c’è anche la speranza, la fortuna, la bellezza. Così succede in questo spettacolo, che parla di un cambiamento epocale che non si può ignorare».

Il tema delle migrazioni era molto presente nella sua produzione artistica.

«Cominciò a parlarne all’inizio degli anni 2000. Vent’anni di lavoro e di curiosità. Se dovessi sintetizzare lo spettacolo in uno slogan, è questo: quale umanità ci rimane? Che tipo di uomini e di donne vogliamo o pensiamo di essere? Le storie che racconta non sono manifesti politici, non danno risposte. Sono storie di viaggiatori che dobbiamo guardare con occhi umani. E ho la sensazione che il pubblico, proprio per questo, se ne vada sollevato».

Quando dice che «è uno spettacolo drammatico, ma non punitivo», intende questo?

«Esattamente. Il teatro può trasformare singoli individui in collettività. Così le parole di questo spettacolo diventano quasi curative, terapeutiche. Ma non leva il dolore: ci sono storie molto dolorose e commuoventi – penso alla poesia Home, della poetessa africana Warsan Shire – ci sono racconti personali durissimi».

La drammaturgia è dunque composta di molti pezzi?

«Sì, è uno spettacolo con tante voci. Oltre al libro di Gianmaria e alle sue bellissime storie, c’è un pezzo di Marco Revelli su Lampedusa; un pezzo che ho scritto io, nel quale racconto del mio legame col Mediterraneo e di un episodio che mi è successo su un’isola del Dodecaneso, quando la polizia mi scambiò per un migrante; e poi ancora un pezzo di Alessandra Ballerini, un’avvocata che ci fa vedere che cosa è davvero uno sbarco».

Che ruolo ha la musica di Testa in questo spettacolo?

«È stato il regista, Giorgio Gallione, che ha reso quest’opera un vero spettacolo e non una semplice lettura. È stato capace di legare e rendere presenti le canzoni di Gianmaria, che entrano ed escono dallo spettacolo come se fossero state scritte assieme ai racconti».

In questa campagna elettorale il tema della sicurezza e dei migranti ci è uscito dalle orecchie. Ha notato qualche reazione particolare nel suo pubblico?

«Il pubblico avverte la grande differenza che passa fra i discorsi da telegiornale e da tribuna politica, e i discorsi teatrali. Si rimane sorpresi di come un discorso, sbandierato spesso come una clava, come un pericolo, ci tocchi invece profondamente. Di come il teatro apra la nostra comprensione del mondo. Alla fine, le signore e i signori più chiusi mi sorridono con affetto, come se li avessi fatti dialogare con una parte di loro stessi».

Il legame col teatro è sempre stato molto forte per Testa. Ha collaborato con Paolo Rossi, con Paolini, con Battiston. Adesso, anche dopo la sua morte, la sua musica continua a ispirare spettacoli teatrali. Come se lo spiega?

«Le sue canzoni erano delle storie musicate. C’è in esse la sua capacità di ascoltare gli altri, il suo modo di essere diretto, di arrivare al nocciolo della storia rimanendo poetico e profondo. Questa qualità a teatro funziona. Quando recitavo con lui, notavo che gli attori si sentivano a proprio agio: era come avere di fianco un collega che cantava. Era molto bello stare con lui».

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