Il non “giuramento” di un uomo libero

FORLì. Per ognuno che tenne la schiena dritta, altri 120 risposero di sì: era il 13 novembre 1931, il regime fascista chiese a 1238 docenti universitari di assicurare formalmente la propria “fedeltà” al re e al duce. Con “Il giuramento”, che va in scena al teatro Fabbri di Forlì da oggi al 4 marzo per la regia di Ninni Bruschetta, con le musiche originali di Cettina Donato (ore 21, domenica: ore 16), Claudio Fava ricorda uno di quei dodici che non chinarono la testa, Mario Carrara, emiliano, allievo prediletto di Cesare Lombroso, uno dei massimi esperti italiani di medicina criminale.

Carrara, che come medico delle carceri torinesi, aveva avuto modo di conoscere durante gli anni Venti molti oppositori del fascismo, non giurò. E perse tutto: lavoro, posizione, la libertà… nell’ottobre 1936 fu arrestato per attività contro il regime fascista, e detenuto alle carceri Nuove di Torino, dove continuò a scrivere il suo “Manuale di medicina legale” fino alla morte, nel giugno successivo.

«Ho scritto “Il giuramento” qualche anno fa, in tempi “non sospetti” – racconta Claudio Fava – quando rigurgiti di conformismo e tendenze neofasciste non erano all’ordine del giorno. In realtà però la pièce parla di un tema universale, di un sapere che esce dagli opportunismi, dai cori, e questo ne fa un’opera di assoluta attualità. La sfida di Carrara infatti appartiene anche a questi tempi, come il suo gesto da uomo libero, portatore di una dignità, di una autonomia di pensiero che rappresentano una categoria più ampia di quelle semplicemente storiche».

Pensavamo che certi fenomeni, certi “rigurgiti” non si sarebbero più presentati nel nostro Paese…

«Ma la responsabilità è dell’assenza di memoria, che fa sì certe parole stiano tornando di uso comune sotto l’apparenza della goliardia: sembrano reperti da museo, e invece se ci guardiamo attorno vediamo sdoganati gesti, concetti, atteggiamenti».

La vicenda di Carrara e dei 12 che dissero no al giuramento di fedeltà ci ricorda che nemmeno gli intellettuali sono una barriera.

«Nel 1925 Croce aveva fatto pubblicare “Il Manifesto degli intellettuali antifascisti”: 6 anni dopo non ne restava traccia… L’intellettuale non è una categoria protetta, lo è solo quando rappresenta l’autonomia della scelta e non preferisce la carriera alla libertà, come invece vediamo fare anche ai nostri tempi per motivazioni molto meno estreme come vincere o far vincere un concorso, ed entrare in un ateneo, il luogo più alto del sapere, che diventa un mercato di prebende come tanti altri luoghi della vita pubblica».

Questi sono giorni molto delicati per il nostro paese.

«Ma io la trovo una campagna pigra, piatta, iper-tatticista, proiettata sulle alchimie del dopo-voto, ma muta sui grandi temi. La questione morale, per esempio, è stata completamente delegata alla magistratura, anzi, nelle parole di tanti leader la tensione morale è diventata quasi una barzelletta. Ci si dimentica però che, come diceva Berlinguer, è invece la “corda salda” che tiene insieme l’identità del paese. L’Italia ha già vissuto un regime, quello fascista, che limitò fortemente le libertà individuali e collettive. La cosa imbarazzante di oggi è che Casa Pound sostenga un rappresentante politico come Salvini, e che lui a sua volta dimostri di riconoscersi in una cultura neofascista tesa a creare sacche di spregiudicatezza e di violenza, e a sdoganare la caccia all’ultimo, tanto “i voti non hanno odore”. Ma non è così».

Parlando di Europa, il nostro tasso di etica collettiva appare più basso che altrove.

«Altre popolazioni hanno un senso più marcato di responsabilità. Gli italiani sono abbastanza propensi al conformismo, sono un popolo generoso ma anche attento a come tira il vento. Con le dovute eccezioni, cercano il proprio “spazio” ma in genere non mostrano grandi slanci. Eppure quelle 12 persone dimostrarono che nel nostro dna c’è anche questo, qualcosa che all’epoca marcò un punto di debolezza per il regime».

Ci riuscirono in così pochi?

«Certo, se tutti avessero aderito non si sarebbe trattato di una imposizione, ma di una scelta. Il “no” anche di una sola persona dimostrò che l’ingranaggio non era invincibile, che il re era nudo».

“Il giuramento” è portato in scena dal Teatro Stabile di Catania. David Coco è Mario Carrara. Oggi alle 17.30 nel foyer sarà lo stesso Fava a presentare lo spettacolo per “Chi è di scena?”, gli appuntamenti organizzati dal Centro Diego Fabbri, mentre sabato 3 marzo alle ore 18 la compagnia incontrerà il pubblico.
Biglietti: 25-14 euro.

Info: 0543 712170-712168

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui