Conflitti, gelosie del passato, inquietudini: "A casa tutti bene", ma un po' disadattati

Rimini

BAGNACAVALLO. Dopo “L’estate addosso”, il film “A casa tutti bene” segna il ritorno in patria di Gabriele Muccino. In uscita nella sale da domani 14 febbraio, la pellicola vede tra i protagonisti (Stefano Accorsi, Stefania Sandrelli, Pierfrancesco Favino...) il romagnolo Ivano Marescotti, noto attore di cinema, fiction e teatro. A lui abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa del film.

Ivano, da domani sarà al cinema con “A casa tutti bene”. Perché ha accettato questo progetto?

«Svolgo il mio mestiere da molti anni e questo progetto mi è sin da subito sembrato molto interessante. Muccino poi è un regista eccezionale che dirige magistralmente una schiera di attori straordinari. La storia che viene raccontata è bella e dolorosa allo stesso tempo, una commedia drammatica».

Lei veste i panni di Pietro. Ci racconta di lui?

«Il film è il ritratto di una grande famiglia riunita per festeggiare le nozze d’oro dei genitori. Sbarcati sull’isola dove la coppia di pensionati si è trasferita a vivere, figli e nipoti si ritrovano bloccati sull’isola a causa di un’improvvisa mareggiata che impedisce ai traghetti di raggiungere la costa. La famiglia al completo sarà costretta a fermarsi più a lungo del previsto sull’isoletta, sotto lo stesso tetto e in compagnia di numerosi parenti dove l’invadenza sembra proprio essere la protagonista. Il confronto inevitabile farà riemergere antiche questioni in sospeso, riaccenderà conflitti e gelosie del passato, inquietudini e paure mai sopite. Tutti i personaggi sono di fatto dei disadattati. Vesto i panni di Pietro che insieme ad Alba, interpretata da Stefania Sandrelli, sono i due festeggiati. Pietro ha creato la sua fortuna dal niente. Fondamentalmente buono e affidabile, oltre che determinato e forte, è da sempre la colonna portante dell’intera famiglia».

Nel film si parla di una famiglia allargata. L’amore alla fine vince sempre per lei?

«Questa è una delle tematiche molto ricorrenti al cinema e in televisione; ogni regista dà allo spettatore sfumature diverse. L’amore può vincere su tutto e tutti ma non sempre accade, sicuramente per alcuni è una costante. Ad avere la meglio è l’ottimismo».

Un confronto tra il suo Pietro e Alba?

«Sono un marito e una moglie molto uniti. Alba (Stefania Sandrelli, ndr) è una madre dolcemente premurosa e disponibile. Pietro invece perde facilmente la pazienza. Avere una famiglia è fondamentale per la vita di Carlo, Paolo e Sara ma ben presto la situazione diventa esasperante: i figli devono prendere le redini della propria vita e finalmente crescere».

Cosa significa essere attori?

«È un lavoro intellettuale e non esecutivo. Chiunque faccia arte, ha il dovere di non usare solo la razionalità ma di lasciarsi trasportare dalle emozione di cui è investito».

Com’è nata la sua passione per il cinema?

«Tutto è iniziato per caso. Mi è stato proposto e ho deciso di tentare; fortunatamente è andato tutto bene. Ero impiegato all’ufficio urbanistica di Ravenna, nel 1981 ho preso la decisione definitiva licenziandomi e decidendo successivamente di intraprendere l’attività teatrale. Non mi sono mai pentito di aver lasciato il posto fisso».

Ci sono differenze nel recitare per il cinema, la televisione o per il teatro?

«In realtà non cambia molto; tuttavia le tecniche e gli strumenti sono diversi. Essere in scena su un palcoscenico vuol dire stare a stretto contatto con il pubblico ed è un’emozione davvero unica».

Cosa vuol dire essere diretti da un regista come Gabriele Muccino?

«Gabriele è un direttore d’orchestra fuori dal comune, perfetto con una forza incredibile che può ben emergere da ogni singola scena e che ha trasmesso a tutti gli attori».

Cos’è per lei il cinema?

«Come spettatore mi ha sempre divertito molto, ma farlo è completamente diverso. Ha un aspetto tecnico che consiste nel saper recitare stando su un set e un aspetto artistico che vuol dire avere creatività e riuscire ad emozionare».

L’abbiamo vista in ruoli molto diversi nel corso della sua carriera.

«Scelgo sempre personaggi molto distanti da me perché vivere vite lontane dalla propria è molto interessante e piacevole per un interprete».

Cosa consiglierebbe a quei giovani che vorrebbero intraprendere una carriera come la sua?

«Dico loro di pensarci bene perché in questo mestiere uno su mille ce la fa. Soltanto la costanza, la tenacia e il talento possono premiare. Se ci fosse solo un piccolo margine di indecisione, meglio lasciare perdere».

Lei è romagnolo. Quale rapporto ha con questa terra?

«Sono di Bagnacavallo di Ravenna e ci sono molto legato; è il mio paese, con una cultura e radici molto forti. Porto sempre con me l’esperienza di cresciuta con le persone che hanno accompagnato la mia vita. Dentro ho sempre cercato di conservare la mia “romagnolità”. Per il mio mestiere credevo che le mie origini di provincia potessero nuocere e ma mi sbagliavo. Sono e sarò sempre orgoglioso del mio essere romagnolo».

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