«Il film di Elio Petri fu una profezia del lavoratore come consumatore»

Rimini

CESENA. Va in scena al teatro Bonci di Cesena, da stasera alle 21 a domenica 11 febbraio (ore 15.30), lo spettacolo “La classe operaia va in paradiso”, una produzione Emilia-Romagna Fondazione.

È una pièce attesa per il riferimento, implicito già nel titolo, al film omonimo di Elio Petri a cui lo spettacolo si ispira liberamente, pure qui supportato dalla drammaturgia del giovane Paolo Di Paolo. La pellicola del 1971 che ebbe protagonista Gian Maria Volonté e, fra gli altri, Mariangela Melato e Salvo Randone, racconta dell’operaio Lulù stacanovista in fabbrica per necessità di denaro, inviso ai colleghi per il suo servilismo ma apprezzato dai padroni. I ritmi di lavoro incessanti di Lulù gli provocano alienazione; fino a quando un incidente sul lavoro lo priva di un dito. A quel punto l’operaio comincia a vedere il mondo dei lavoratori anche sul fronte dei diritti fino a scioperare, a scontrarsi con la polizia, a venire licenziato.

Il tema del lavoro spinge dunque il regista Claudio Longhi a inaugurare la sua direzione artistica di Ert con un titolo “cinematografico”. Il ruolo di Lulù è affidato da Longhi all’attore Lino Guanciale (classe 1979), suo “delfino” essendo nel gruppo di lavoro del regista da oltre quindici anni (lo si ricorda al Bonci già nel 2011 ne “La resistibile ascesa di Arturo Ui” di Brecht).

Guanciale, amato volto popolare di televisione e cinema, ha esordito con il teatro che si conferma la sua principale dimora. Con Claudio Longhi, che ha composto da anni un gruppo di attori che lo affiancano in svariati progetti, Lino ha maturato un rapporto non solo di fiducia reciproca, ma di partecipazione concreta ai progetti, come avvenuto per l’attuale pièce.

Guanciale, esiste in questo lavoro un cambiamento di rotta della vostra progettualità di squadra rispetto agli allestimenti precedenti?

«È così – risponde l’attore –, la genesi di questo spettacolo è diversa dalle altre. Con Longhi in questi anni ho condiviso anche la responsabilità elaborativa dei progetti realizzati. Mentre tutti gli altri sono stati frutto di scelte ponderate e razionali, qui si è partiti da una mia intuizione che subito lui ha abbracciato».

Come è arrivato a suggerire “La classe operaia va in paradiso” al regista?

«È accaduto nei giorni in cui Longhi stava elaborando il bando per la nuova direzione di Ert. Molta parte della sua progettualità è imperniata sul rapporto città, lavoro, teatro. Mi chiese di suggerirgli un film sul lavoro adatto pure a una riscrittura teatrale. Mi è venuto di slancio il film di Petri, pensando non tanto alla fabbrica, quanto all’idea delle famiglie raccolte attorno alla luce azzurrina della televisione obnubilate dalla pubblicità. Il progetto ci ha ispirati e costretti a muoverci in un campo che non conoscevamo, molto stimolante».

All’epoca del film di Petri lei non era nato; la sua generazione peraltro è cresciuta in anni, gli Ottanta e Novanta, più distanti da lotte operaie. In che modo dunque “La classe operaia” l’ha colpita?

«Lo vidi a vent’anni, mi colpì il trattamento delle sequenze domestiche. Vi sentivo la profezia, poi avveratasi, del lavoratore come consumatore, più che partecipe di un progetto produttivo. Mi saltarono addosso quelle sequenze televisive, più che quelle di lotta, così come mi colpì forte l’idea dello sfruttamento. Era dunque un film avanti, costruito per emozionare anche generazioni future».

Come siete arrivati alla stesura “teatralizzata” dello spettacolo?

«Con un lavoro di coinvolgimento anche esterno. Abbiamo proposto proiezioni pilota a operai di ieri e di oggi, a industriali e studenti, raccogliendo le loro sollecitazioni. I ragazzi delle scuole sono colpiti davanti a un film che vuole anche “disturbare”, non solo intrattenere, ne colgono l’attualità nell’idea di sfruttamento che trasmette».

Lo spettacolo presenta anche immagini video?

«L’immagine ha un ruolo centrale, molti i contributi video fra cui un frammento del film, recitiamo sequenze della trama, interpretiamo i personaggi del film, i critici, gli spettatori di ieri e di oggi. Il tutto smontando e rimontando, non adattando semplicemente la sceneggiatura al teatro».

Cosa aggiunge l’esperienza maturata sul set alla sua interpretazione teatrale?

«La macchina da presa mi ha aiutato a crescere come attore. Il palcoscenico segue altre regole, fra cui la partecipazione al processo creativo, come per me avviene da oltre quindici anni. Tornare a teatro con questo spettacolo, e con il suo carico di responsabilità, mi permette di mettere a frutto l’intero mio percorso a oggi, cosa che mi rende felice. Credo sia una stagione bella per il nostro teatro, tante esperienze seguono una maggiore responsabilità autoriale, da Tagliarini-Deflorian a Tindaro Granata».

In quali prossimi lavori la si potrà seguire?

«In primavera uscirà su Rai 1 “Non dirlo al mio capo 2” con Vanessa Incontrada; a ottobre “L’Allieva”; in estate gireremo “La porta rossa 2”, mentre in marzo esce nelle sale il film “Arrivano i prof” con Claudio Bisio».

Info: 0547 355959

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