Popolizio: «Il cinema è un grande divertimento. Nel teatro fai una vita da zingaro»

Rimini

CESENA. «Penso che sarebbe stato un errore imperdonabile pensare di dar vita a una compagnia teatrale che porti il mio nome senza pensare all'opportunità di rimettere in scena uno spettacolo come “Copenaghen”».

Così Umberto Orsini, fra gli ultimi di una generazione che ha dato tanto al teatro italiano, motiva la scelta del ritorno del suo “Copenaghen”. Scritto da Michael Frayn nel 1998, Orsini lo presentò in Italia già nel 1999, dopo averlo visto a Londra. Al Bonci arrivò nell’ottobre 2002 applaudito pure da una platea di fisici riuniti nel convegno scientifico “Quanti Copenaghen?”.

Più di tre lustri dopo torna al Bonci, stasera e sabato 27 gennaio alle 21, mentre dal 28 al 30 gennaio (sipario alle 21) arriva sul palcoscenico del teatro Novelli di Rimini, sempre con gli stessi attori nei medesimi ruoli. Sono il fisico danese Niels Bohr interpretato da Umberto Orsini, sua moglie Margrethe alias Giuliana Lojodice, il fisico tedesco Werner Karl Heisenbeg, ovvero Massimo Popolizio. La regia è di Mauro Avogadro.

Tutto ruota attorno al perché Heisenberg in quel 1941 si recò in Danimarca per incontrare Bohr; un incontro epocale, in tempi di guerra e nazismo, che rimase avvolto dal mistero, sollevando tante ipotesi. Ipotesi sulle quali Frayn ha costruito una drammaturgia efficace, coinvolgente, che argomenta di scienza, di fisica quantistica, di Principio di indeterminazione e di complementarietà; ma che parla anche di uomini e di rapporti umani, con dialoghi serrati appassionanti. Il tutto immerso in un tempo immaginario, sospeso, una sorta di limbo dove i tre, che non sono più, tornano a incontrarsi.

Popolizio, è raro a distanza di anni, ritrovare gli stessi interpreti nei medesimi ruoli.

«In realtà questi personaggi non hanno un’età – risponde l’attore –, parlano da un presunto aldilà. Siamo ancora la stessa squadra in una confezione più curata di allora, risolta in un atto unico di un’ora e 45, con l’inserimento di riprese video che la rendono più fruibile».

La scienza a teatro attrae il pubblico?

«Più che sulla scienza, è uno spettacolo sui rapporti umani attraverso la fisica. Compensa la sua freddezza con l’essere estremamente appassionato, chiave forte per la riuscita. Parliamo di cose matematiche con una grande passione».

Come si rivede anni dopo, invecchiato?

«Direi che sono il più invecchiato dei tre; mi sento un peso diverso, ho maturato molta più esperienza; rendo così il personaggio meno nevrastenico, più posato, lo calibro meglio su di me».

Si sente comunque un giovane fra due maestri.

«È così, ed è curioso che continuo a essere un attore giovane a 56 anni, una specie di figlio soprattutto di Giuliana (Lojodice) che verso di me nutre un aspetto materno; Umberto (Orsini) invece è un uomo sempre in competizione, vive la scena in una continua sfida, anche sui tempi».

Com’è vivere di nuovo insieme una tournée a tre, da piccola band?

«Siamo un poco “band”, perché questo spettacolo va anche “suonato”, nel senso che siamo come una jazz band che ha a che fare con una performance. Il testo si basa molto sulla esecuzione degli attori e dunque sulla performance serale. La tournée ci porta a spostarci in auto insieme, viaggiamo insieme, mangiamo insieme, recitiamo insieme, siamo nello stesso albergo, è una specie di vita da zingaro in cui ti conosci veramente bene».

Negli ultimi anni è diventato attore richiesto dal cinema.

«Evidentemente invecchiando la mia faccia va crescendo, è diventata più adatta alla macchina da presa, prima ne avevo paura. Il 1° febbraio esce il film su Mussolini “Sono tornato” di Luca Miniero, dove interpreto il duce; è un ruolo enorme e rischioso, sezioni di trucco pazzesche, “bite” in bocca… Rispetto al teatro il cinema è un grande divertimento, è antidepressivo».

Spesso però le affidano ruoli “da cattivo”.

«Come diceva Jessica Rabbit, “non sono cattiva, è che mi disegnano così”. Ma ho anche interpretato Giovanni Falcone in “Era d’estate” di Fiorella Infascelli; e per la prima volta mi sono piaciuto».

Affronta pure la regia.

«Il mio “Ragazzi di vita” è stato apprezzato; è un testo tenero che presenta ancora l’incanto di Roma di Pasolini, non le sue successive delusioni. Ne sto scrivendo una riduzione scenica per il tour. Al Teatro dell’Opera di Roma invece ha da poco debuttato la mia prima regia operistica “I masnadieri” di Verdi. Avevamo un budget ridotto, e sono stato messo alla prova da tempi strettissimi, riunioni sindacali, scioperi… L’anno prossimo curerò “Nemico del popolo” di Ibsen, come regista e interprete, con Maria Paiato».

Fra i suoi maestri chi le ha dato di più?

«Con Luca Ronconi ho diviso quasi 25 anni e 35 spettacoli, davvero una parte della mia vita, lui mi ha lasciato un imprinting. È stato un padre da cui poi ci si è dovuti liberare; ma il come saper leggere, come mettere in scena, il punto di vista, me lo ha dato lui».

Confidi infine com’è recitare a fianco di Orsini e Lojodice.

«Ogni sera imparo dalla loro forza, concentrazione, abnegazione per il lavoro; Orsini è sempre stato un mio punto di riferimento su come fare questo lavoro. Spero di poter continuare a fare le scelte nel modo in cui Umberto le ha fatte».

Alle 20.15, sala Morellini, il fisico Gino Tarozzi affronta una introduzione dal titolo “Bohr, Heisenberg e le due interpretazioni di Copenaghen”.

Info: 0547 355959

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