Le imprese, la fama e un papa per nemico

Rimini

RIMINI. “Sigismondo Malatesta 1417- 1468. Le imprese, il volto e la fama di un principe del Rinascimento”. È questo il titolo dell’ultimo libro di Ferruccio Farina che esce in libreria edito da Maggioli e la cui prefazione è a cura di Remo Bodei. Il saggio sarà presentato sabato 18 novembre alle ore 17 a Castel Sismondo di Rimini: ne parleranno Monica Centanni, storica e filologa della tradizione classica, Michele Brambilla, giornalista e saggista, e Piergiorgio Pasini, storico dell’arte.
Giornalista, storico, docente, Farina ha progettato e curato “Balnea.museum. Museo virtuale dei bagni di mare e del turismo balneare” e ha fondato insieme a Pasini la rivista Romagna arte e storia, che dirige dal 2015. Portano la sua firma anche le “Giornate internazionali Francesca da Rimini”.

Farina, l’ennesimo libro su Sigismondo? Che cosa c’è di nuovo?
«Un personaggio della sua levatura, peraltro vittima di una fama che ancora lo propone tra il criminale e l’eroe, costruita su stereotipi che non hanno fondamento storico, meriterebbe ancora più attenzione. Il mio contributo, dal dichiarato intento divulgativo, è orientato soprattutto a ricostruirne un profilo corretto che vuol prescindere dalle troppe “fantasie storiche” che dall’Ottocento continuano a susseguirsi».


Nel libro lei, novello Dante, mette all’Inferno papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini, nemico giurato di Sigismondo, mosso da ragioni politico-militari (alleanza con il Regno di Napoli) ma anche e soprattutto dall’invidia verso chi l’aveva superato quasi in tutto. Una partigianeria la sua, Farina, dichiarata e rivendicata.
«Una finta partigianeria, la mia, che vuol contraddire provocatoriamente i troppi luoghi comuni che lo accreditano come diabolico peccatore. Che hanno origine dall’invidia, dal cinismo, dalla malefica determinazione di Pio II e dalla falsità delle sue accuse contro il nostro Malatesta. Falsità e documentate in maniera storicamente inequivocabile. Oltre che dagli studi di grandi storici del passato come Giovanni Soranzo, la prova regina si trova nei suoi stessi Commentarii: soffriva di una patologia ossessiva nei confronti di Sigismondo che lo tormentava. Un atteggiamento persecutorio interessato, il suo, messo in evidenza anche dai contemporanei. Dai papi precedenti, Sigismondo era sempre stato considerato un fedele servitore. Ma Pio II, appena salito al soglio, pensò di toglierlo di mezzo facilmente per arricchire i suoi nipoti con i domini dei Malatesta. E invece si ritrovò un personaggio tenace e coraggioso che, prima di soccombere, peraltro onorevolmente, combatté duramente».


Sono cambiati i papi, basta guardare papa Francesco, ma anche gli adolescenti, se è vero che oggi si danno “battaglia” solo su Facebook mentre Sigismondo sbaragliava i nemici già a 13 e 14 anni…
«Certo era precoce. Ma allora, a “ragionare” con la spada, si iniziava presto. I diritti si facevano valere così. Sigismondo, però, eccelleva anche per le sue doti intellettuali e soprattutto per il suo grande coraggio nel cambiare e nell’aprirsi a nuove idee».


Scrivendo di Sigismondo non si può non parlare di Isotta. Anticipando di secoli la svolta del secolo scorso, quando nobili e regnanti presero a sposare i borghesi, Sigismondo impalmò Isotta che non era né una Este né una Sforza come le prime mogli…
«Certo, sfidando le consuetudini del tempo, con Isotta si sposò per amore. Ma è uno dei sintomi di quanto marcata fosse la sua fiducia in se stesso. La ragion di Stato gli avrebbe imposto di sposare una pulzella di nobile casata per stringere alleanze che gli sarebbero state utili. In questo, se come uomo si mostrò rivoluzionario, come politico sbagliò e ne pagò le conseguenze».


Fu anche un comunicatore eccezionale, anche qui precorrendo i tempi, per esempio con le sue medaglie celebrative. Ma proprio su questo terreno Pio II gli fece una guerra spietata arrivando a bruciare un suo manichino in piazza, non così lontano poi dall’odierno linciaggio mediatico, virtuale e fasullo.
«Certo, la guerra fra i due fu anche mediatica, seppur ad armi impari. Il Papa, oltre che a suon di spade, poteva combattere, come fece, con le armi della fede, con le scomuniche e gli anatemi. Lui, solo con il lavoro degli artisti della sua corte e con le medaglie che il bravo Matteo de’ Pasti produceva con il suo volto e con l’immagine delle sue imprese, distribuite come “biglietti da visita” ante litteram a principi e regnanti in tutta Europa per procurare fama e prestigio. Fu il primo principe del Rinascimento a comprendere la loro potenza comunicativa. Dopo seicento anni ci restituiscono, tra l’altro, la forma di Castel Sismondo e del Tempio e, soprattutto, il suo volto nobile e fiero. Un volto, dallo sguardo minaccioso per i nemici e rassicurante per gli amici, che oggi è presente grazie alle medaglie in tutti i principali musei del mondo, perfino alla National Gallery of Australia».


Sigismondo sapeva relazionarsi anche ludicamente con i suoi pari: basti pensare alle feste a corte per il passaggio dell’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo…
«Sapeva intrattenere le relazioni a tutti i livelli secondo i riti del tempo. E la sua presenza si notava per classe e stile, come diremmo oggi. Secondo un cronista, se fosse stato “fra cento Signori saria stato electo sempre superiore di tucti”. Al di là delle denigrazioni di Pio II, fu un protagonista di primo piano del Rinascimento, che godeva meritata reputazione di grande condottiero e di principe colto e magnanimo. Nel 1453 un documento pontificio lo annovera tra gli otto principi più potenti d’Italia. Questa è la verità storica ben documentata. Poi, ad alcuni potrà sembrare più fascinoso il personaggio che si presenta in ginocchio da Isotta, per recitarle versi d’amore, con la spada ancora intrisa del sangue della principessa tedesca appena uccisa perché non voleva cedergli... Ma sono frottole, queste e altre, da fotoromanzo».


Lei ricorda che il Tempio Malatestiano è stato definito «un libro di pietra» in cui è possibile leggere, ancora oggi, la capacità di un grande uomo di amare il passato e costruire con coraggio il futuro. In sintesi, il carattere dei riminesi, o no?
«Certo, molti riminesi sono la capacità e il coraggio di cambiare e di reinventarsi, almeno negli ultimi due secoli. Turismo docet. Ma in quanto all’amore per il passato direi che, nella Rimini dei nostri giorni, la strada da fare è ancora tanta. Come è ancora a livello di spot e di slogan il tanto sbandierato turismo culturale. E sarebbe ora, per chi come noi vive di ospitalità, di passare dalla fase slogan ai progetti e agli investimenti costruiti con competenza e qualità. Ciò riguarda anche Sigismondo, tra i pilastri fondanti della nostra identità, che forse gode più fama all’estero che a casa sua».


A 600 anni dalla nascita, qual è il modo giusto di celebrare il condottiero riminese che diceva, come Petrarca : «Uno bello morire, tutta una vita honora»?
«Sono solo uno studioso per passione e mi limito a fare ciò che so fare. Il mio libro vuol essere un piccolo contributo. Così come il convegno di studiosi che sto organizzando insieme a Massimo Ciavolella a Los Angeles, al Getty e alla Ucla i prossimi 26 e 27 gennaio».


A fine mese il libro “Sigismondo Malatesta 1417-1468” (pp. 230, € 24) sarà in vendita anche in edizione inglese su Amazon.

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