«Attenti, la libertà non è mai scontata. Nella storia è stata solo una parentesi»

Rimini

Forse è un bene che Walter Veltroni non abbia mantenuto la promessa che fece di recarsi a fare volontariato in Africa al termine della sua carriera politica. L’ex vicepresidente del Consiglio e segretario nazionale del Partito democratico ha scelto invece di dedicarsi al cinema e alla letteratura, sue passioni da sempre, già in qualche modo “emerse” durante la sua direzione dell’Unità, quando si inventò l’allegato colto al giornale del partito: videocassette e libri che fecero la fortuna dell’organo di informazione fondato da Gramsci.

È un bene perché Veltroni ha prodotto film e libri senz’altro interessanti, intessuti della sua passione politica e civile, mai tramontata dopo la militanza, semmai trasposta sulle pagine e sul grande schermo. E oggi pubblica il suo ennesimo romanzo, “Quando”, per Rizzoli. Veltroni sarà a Rimini questo pomeriggio per presentarlo nella Sala del Giudizio del museo dalle 18 insieme al sindaco Andrea Gnassi e allo scrittore Piero Meldini.

Il suo è un romanzo di politica e d’amore che ci aiuta a vedere come eravamo e come siamo diventati. Si racconta di Giovanni che si risveglia dal coma nel luglio del 2017. Aveva vent’anni quando la sua vita si interruppe per un incidente. Il suo ultimo ricordo è in piazza San Giovanni a Roma, il 13 giugno 1984. Insieme al padre e alla fidanzata sta partecipando al funerale di Enrico Berlinguer.

Dopo oltre trent’anni la vita ricomincia. Giovanni rinasce, ma già adulto. Tutto è cambiato. Si trova in un nuovo secolo, in un nuovo millennio dove il mondo è irriconoscibile...

Veltroni, a differenza del suo protagonista, lei questi 30 anni li ha vissuti appieno. Prima la politica, poi la letteratura e il cinema. Se dovesse raccontarli al suo Giovanni, da dove partirebbe?

«Partirei dai grandi cambiamenti antropologici che sono intervenuti. È cambiato il modo di vivere, di sapere, di stare in relazione. Un mondo ipertecnologico dal cui lo metterei in guardia: il vero rischio è quello della solitudine».

In rete circolano vignette e freddure sul fatto che sembriamo tornati al 1994, quando cominciò l’era berlusconiana. Sono poco più di 20 anni fa, quindi la realtà si avvicina molto alla fantasia. È stata proprio la mancanza di fantasia, la disillusione, che ci ha portato a questo?

«Discorso complicato. Parliamo del mondo, guardiamo al mondo, per esempio agli Stati Uniti che stanno vivendo un cambiamento radicale, profondo, prevalgono paura ed emotività su speranza e sogno...».

La politica e l’amore come yin e yang della vita. Tutto è l’una o l’altra cosa. Come coniugarle al meglio?

«La vita è fatta di una dimensione personale, intima, i sentimenti, le relazioni, i rapporti interpersonali. E poi c’è però anche qualcosa che dà il senso della vita, l’impegno civile, culturale, una vita da spendere non solo per noi. La frase di Giovanni, riportata in quarta di copertina del libro, parla proprio di questo: del rischio generale di addormentarsi, un rischio serio!».

Lei come è diventato adulto in questi 30 anni? A cosa ha rinunciato e su cosa ha fatto leva per andare avanti, quando le illusioni di cambiare il mondo sono passate?

«Ho continuato a coltivarle, non ho mai pensato che fossero tramontate. Finite le grandi ideologie si aprivano spazi immensi per un cambiamento. Non ho mai avuto questa sensazione di disillusione, la passione è intatta».

Noi adulti cadiamo spesso nell’errore o nella leggerezza di credere che si stava meglio quando eravamo giovani. Ma forse è solo incapacità di adattarsi al cambiamento.

«In parte si, è inevitabile che chi cresce abbia nostalgia, ma non è razionale. Le condizioni di vita dell’umanità oggi sono molto migliori. Siamo in una fase di transizione, di passaggio molto carica di possibilità, ma anche gravida di rischi, problemi e contraddizioni. Il compito del pensiero collettivo è quello di garantire che i mutamenti generino un miglioramento e non un peggioramento».

Sembra di capire che per lei l’ideale è imprescindibile. Quale ideale si sente di trasmettere a figli e nipoti con quel “tramonto da Instagram” del finale del romanzo?

«La libertà, non mi viene nient’altro. Ma la libertà non è mai scontata. Se ci pensiamo, è stata una parentesi nella storia della civiltà umana, una pausa tra sistemi autoritari, dittature, forme di schiavismo. Il libro è un inno alla libertà».

Uno dei suoi libri precedenti s’intitolava “Quando c’era Berlinguer”. Questo solo “Quando”… Sta procedendo per sottrazione?

«No (ride, ndr), alla fine non resterebbe più nulla. È solo che a me piacciono i titoli brevi».

È stato appena approvato un Ddl che affida al Governo la disciplina dello spettacolo dal vivo e della musica live. Se non sbaglio fu proprio lei ad avviare vent’anni fa il discorso insieme al ministro ai Beni culturali Giovanna Melandri. Della serie, mai perdere la speranza ma anche: si accendono luci anche quando si brancola nel buio e meno te lo aspetti, basta seminare bene…

«Ci sono tante cose che accadono e che qualcuno ha contribuito a far crescere. Ma bisogna sempre pensare con la misura che la storia procede oltre i singoli».

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