In platea con Fellini tra visioni e magia

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RIMINI. Un portone che si spalanca, le pareti curve delle scalinate come prima apparizione: annunciano un abbraccio poderoso. Invitano a infilarsi negli anfratti, a perdersi nelle salite e nelle ridiscese, dentro nuvole di pensieri, tra Gradische, Fred Astaire & Ginger Rogers, Ginger e Fred ed altro ancora... A ogni passo un ronzio di immagini nella testa, reminiscenze, la grana della pellicola che torna a farsi visione. I volti luccicanti di attrici e attori, i costumi, le scene, le note, le parole, campo controcampo, pianosequenze, i titoli, «Azione!». È cinema: già nell’immaginazione. È Fulgor. Luce: quella che nel finale di Intervista torna a chiedere Federico Fellini, nello studio vuoto di Cinecittà.


Riapre il cinema Fulgor
“Quel” cinema: il grembo cinematografico di Federico Fellini. Lo schermo che ha nutrito la sua immaginazione di bambino, in braccio a papà, nei suoi ricordi ricostruiti d’infanzia, raccontati-riannodati-reinventati nel volume La mia Rimini. Ci vide Maciste all’inferno, i film di Chaplin («Film che avrò visto tre o quattro volte»). E fu imprinting indelebile a prima vista: matrice.
Da adolescente, nella Rimini metà anni Trenta, mercanteggiava con il gestore del Fulgor (sosia dell’attore Ronald Colman) per cedergli i suoi “scarabocchi” – i volti delle star americane che già indicavano la sua attitudine al disegno, alla caricatura – in cambio dell’ingresso libero, a vedere i film che arrivavano dagli Usa.


Entrare nella magia
Impossibile, per ogni cinefilo riminese, non entrare con riverenza in quella sala, che è stata per tantissimi anni, fino alla chiusura, tra le migliori, per programmazione, tra i cinema della città. Ma poco o quasi nulla che la distinguesse dalle altre. Se non quell’aura che le veniva da lontano. Dall’essere stato «il cinema di Federico Fellini», ancor più che uno dei primissimi cinematografi cittadini: costruito agli albori della settima arte (inaugurato con un film con la diva del muto Francesca Bertini), sopravvissuto ai bombardamenti che distrussero tanta parte della città (e ancora oggi l’ottocentesco teatro Galli in ricostruzione ce ne ricorda la violenza distruttrice e quanto sia faticoso, lungo e soggetto al sobbalzare dello spirito del tempo il risorgere a vita nuova).
Ora entrare nel «cinema di Federico Fellini» è un viaggio come Alice nel Paese delle meraviglie. Bacchetta, magia! Come fosse arrivato davvero Snaporaz.


Stile romagnol-hollywoodiano
Della vecchia sala si riconoscono i volumi, la lunghezza, la balconata della galleria. Tutto al loro posto. Ma la veste è nuova. Totalmente nuova. Barocca, esagerata, davvero in stile «romagnol-hollywoodiano» come l’ha definito lo scenografo Dante Ferretti, che ne firma l’allestimento. Rosso, oro, stucchi e arabeschi, colonne che sembrano sottratte a scenografie di vecchi peplum, dalla Hollywood sul Tevere, dai filmoni con Elisabeth Taylor e Burt Lancaster. E poi i lampadari a soffitto: citazioni filmiche? Può essere, mi dicono i bravi Marco Leonetti e Nicola Bassano, ciceroni al ristretto gruppo, cui mi unisco, di prof venuti a Rimini per una mattinata su Cabiria. Lo sguardo vira come una macchina da presa a spalla, in panoramica, fa zoom, perde il fuoco, si disorienta, si ferma su particolari, riparte: le pareti con le Veneri nude e dorate che spuntano da un mare stilizzato, ondeggiante tra una colonna e l’altra; gli elementi decorativi “pavoneggianti”, anche letteralmente, nel loro richiamo al pennuto già apparizione real-magica in Amarcord; e le grandi cornici vuote color oro dove un tempo c’era l’ingresso alla sala, tali e quali a quelle che compaiono in Hugo Cabret, il film di Scorsese sul cinema e sul grande Méliès,, con scenografo lo stesso Ferretti (e tutto si tiene, allora, se così è).
Vorrei già scegliere dove sedere e “accasarmi”. Mi prenoto da sola, e mi abbono. Non vedo l’ora. (E poi c’è, e ci sarà, tanto altro ancora. Ci sarà tempo per raccontarlo. E voglia. Azione!).

“Le notti di Cabiria” aspettando la festa di dicembre

Il progetto di ristrutturazione del cinema Fulgor (il palazzo è di proprietà della Fondazione Valloni) è dell’architetto riminese Annio Matteini. Dello scenografo Dante Ferretti è invece il progetto di allestimento della sala grande e del foyer. A eseguire i lavori che hanno portato alla realizzazione delle due nuove sale (la grande da 198 posti, la piccola da 52), è stato lo Studio Forme di Roma, un’eccellenza internazionale nel campo della conservazione, del restauro e della produzione di apparati decorativi. I lavori, primo step della Casa del cinema intitolata a Federico Fellini, che coinvolgerà anche Castel Sismondo, hanno compreso la costruzione di contropareti fonoassorbenti perimetrali, la realizzazione dei supporti e degli ancoraggi per gli schermi e le casse, il cablaggio delle cabine di proiezione, oltre alla fornitura e alla posa in opera del banco bar e biglietteria, degli apparecchi illuminanti e delle poltroncine (uno degli ultimi dettagli ancora da sistemare a carico dei gestori), degli schermi e degli impianti di visione e di diffusione sonora. Costo degli interventi intorno ai 7 milioni di euro. Le due sale saranno gestite dalla società Khairos (proprietaria del Settebello), che si è aggiudicata il bando nei mesi scorsi. L’apertura, che riserverà un programma di eventi ancora top secret, è prevista per i primi di dicembre.

Martedì 31 ottobre, intanto, in occasione del 24° anniversario della scomparsa di Federico Fellini, alla Cineteca comunale (ore 21, ingresso libero) in programma il film “Le notti di Cabiria”, il capolavoro realizzato sessant’anni fa dal maestro riminese, al centro del convegno svoltosi nella mattinata di giovedì 25 ottobre al Teatro degli Atti. 

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