«Siamo più poveri dei nostri genitori. I giovani devono scriverne e parlarne»

Rimini

RIMINI. Non si è stancato di combattere Billy Bragg, uno dei più politicizzati cantautori inglesi, interprete delle lotte sociali del proletariato e degli emarginati. Sarà in Italia per tre date, una delle quali alla Corte degli Agostiniani di Rimini domenica 6 agosto alle 21.15, nell’ambito della rassegna Percuotere la mente.

Negli anni ’80 Bragg era uno dei principali esponenti di Red Wedge, movimento d’opinione di sinistra, noto per le lotte contro il Governo Thatcher e al fianco dei minatori, che comprendeva molti musicisti inglesi, tra cui The Clash, Jerry Dammers e Paul Weller.


Bragg, come mai oggi il mondo musicale non sembra più così coinvolto in temi politici?
«Non sono d’accordo, almeno per una buona parte dei musicisti. Forse questo è vero per i “ragazzi bianchi con la chitarra” (sua definizione, ndr), perché non sono emarginati, e le battaglie più vigorose arrivano sempre dai “non inclusi”. Se pensiamo ai musicisti neri, ce ne sono molti che prendono posizioni politiche, per esempio quelli che si riconoscono nel Black Youth Project negli Usa, e quelli “grime” (stile di rap urbano militante, ndr) in Gran Bretagna, che nelle recenti elezioni hanno sostenuto con grande forza Jeremy Corbyn. Magari non erano organizzati come lo eravamo noi di Red Wedge, ma erano molti, alcuni di primo piano».


Lei, però, ha dichiarato che non vuole essere definito un cantautore politicizzato.
«Beh, dipende dal punto di vista, da ciò che si considera politico. Ai miei tempi c’erano un sacco di “cantautori politici”, perché la politica era molto presente nelle nostre vite, mentre oggi le nuove generazioni sono lontane da essa, perché dicono di non capirla, ma sentono la pressione che esercita su di loro. Nel mio Paese i giovani d’oggi sono la prima generazione del dopoguerra ad avere la prospettiva di essere più poveri dei loro genitori, e questo genera molta pressione. Secondo me dovrebbero scriverne e cantarne; questo era quello che faceva il punk».


Veniamo alla musica: il suo album più recente, “Shine a light”, è dedicato alla musica americana.
«Più esattamente è dedicato alle “great railroad songs” americane. Insieme a Joe Henry abbiamo fatto un viaggio sulla Great Railroad, la spina dorsale ferroviaria degli Stati Uniti, una delle grandi imprese che cambiarono il volto dell’America, e del mondo. Lungo il viaggio abbiamo raccolto canzoni della tradizione americana, e ne abbiamo fatto un disco».


Come è nata questa idea?
«È nata dal libro Roots, radicals and rockers, che ho pubblicato pochi mesi fa, dedicato al genere di musica “skiffle”. Prima del rock’n’roll, c’era questo stile, nato in America nella prima metà del Novecento da jazz, blues e country; in Gran Bretagna fu portato in classifica da Donnie Lonegan nel 1956, con l’enorme successo del singolo “Rock island line”. Prima di Elvis Presley e Chuck Berry, Lonegan ispirò Beatles, Rolling Stones, Van Morrison e altri. La band di John Lennon, The Quarrymen, suonava skiffle. Nel 1957, quando Lennon aveva solo sedici anni, Paul Mc Cartney andò a un loro concerto e decise di entrare nel gruppo: così nacquero i Beatles. La maggior parte delle canzoni skiffle erano quelle “great railroad songs” di cui parlavo. I teenager inglesi degli anni ’50 le scelsero perché erano rivoluzionarie rispetto alla musica dei loro genitori, e la chitarra diventò il simbolo del rock da lì in poi. Cinque anni prima in Gran Bretagna si vendevano 5.000 chitarre acustiche all’anno, nel 1957 se ne vendettero 250.000».


Lei ha sempre avuto un occhio di riguardo per l’America: si ricorda ad esempio la collaborazione con i Wilco, i tributi a Woody Guthrie, e il suo album “Help save the youth of America”, del 1988, in cui si rivolgeva ai giovani americani, spronandoli ad andare a votare alle elezioni presidenziali, con consigli molto precisi. Che relazione ha con gli Usa?
«Sono molto legato alla musica americana, dal cantautorato acustico di Bob Dylan al soul della Motown, e ci vado spesso a suonare».


Nonostante abbia lavorato anche con una band o, addirittura, con un’orchestra, per la maggior parte della sua carriera si è proposto da solo, con chitarra elettrica, voce, e null’altro. Sarà così anche a Rimini?
«Ci sarà con me un altro chitarrista, Cj Hillman Rider, che suona la pedal steel guitar, per ottenere un suono “roots” nelle canzoni acustiche. Non sarà sempre con me sul palco: per le canzoni elettriche sarò solo, come sempre, e in qualche canzone sarà lui da solo».


Oltre ai brani di “Shine a light”, Bragg proporrà i suoi vecchi successi e anche il nuovo singolo “Bridges not walls” che darà il titolo al tour autunnale, in programma in Europa e negli Stati Uniti.


In apertura Everyman. Biglietti a 18 euro.

www.sagramusicalemalatestiana.it

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